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Uno spaccato sull'Albania degli anni '20, non è un vero è proprio giallo, lo definirei più un romanzo storico. La vicenda ha inizio con la costruzione di una strada nel nord dell'Albania, zona in cui vige la legge del kanun, sulla quale viene commesso un omicidio, da lì viene raccontata l'Albania del tempo.
Un pezzo di storia dell' Albania, ben scritta e ben documentata, ma nn capisco perchè si debba elencarlo tra i romanzi 8 forse storico ) e non tra i libri di storia.
Recensioni
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Il romanzo s’inscrive nella Migrantenliteratur, quell’innesto nella letteratura tedesca ad opera di autori immigrati in Germania dopo la caduta del muro di Berlino, prevalentemente dall’est europeo: un fenomeno che ha aperto notevolmente gli orizzonti tematici della narrativa interna, ferma ormai da troppo tempo alle questioni intertedesche. Anila Wilms (nata nel 1971) si è infatti trasferita da Tirana a Berlino nel 1994 e con questo suo esordio si è guadagnata il secondo posto all’edizione 2013 del Chamisso-Preis, un premio dedicato agli autori di origine straniera che scrivono in tedesco, sostenuto dalla Fondazione Bosch. L’interesse del libro non è specificamente letterario, piuttosto ha il merito, come ha sottolineato la giuria, di rappresentare con “profonda competenza” la storia di un paese, l’Albania, rimasto a lungo estraneo alla cultura occidentale. Wilms sceglie il taglio del romanzo criminale partendo da un episodio realmente accaduto, l’uccisione di due cittadini statunitensi in visita nella giovane repubblica, anno 1924. Il titolo originale mette direttamente in copertina gli ingredienti del giallo: delitto e petrolio albanese. Già, perché l’oro nero era stato individuato fin dalla Grande guerra, rendendo quel piccolo stato dei Balcani un ambito boccone per italiani, francesi, inglesi e americani. Apre la vicenda l’arrivo a Tirana di un giovane e volenteroso ambasciatore inviato da Washington per fiutare possibili affari. Una missione impervia, a fronte di un paese arcaico, in cui partiti contrapposti discutono a suon di pistolettate. Sempre più fitto si fa sullo sfondo l’intrigo politico interno, frutto di un retroterra che ha le sue radici nei cinquecento anni di dominio ottomano. Conflitti tra i clan delle zone montagnose – gente schietta e dura, cresciuta con un’arma sotto il guanciale – e la sequela di bey, vescovi e muftì, militari e questurini corrotti, cui si aggiunge la fazione degli albanesi emigrati negli Stati Uniti, stringono il paese in una morsa soffocante. Frequenti intarsi narrativi illuminano i difficili rapporti con la Grecia e la Serbia nell’incerta definizione dei confini. Ma il vero pericolo – leggiamo nelle ultime pagine – si protende dall’altra riva dell’Adriatico. Sono, questi, gli anni delle concessioni di sfruttamento del petrolio e di una crescente intromissione dell’Italia nell’economia albanese, prima avvisagli – e qui la Storia va oltre il romanzo di Anila Wilms – dell’occupazione fascista dell’Albania.
Recensione di Anna Chiarloni
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