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“Quando i cronopios cantano le loro canzoni preferite, il loro rapimento è tale che più d’una volta sono finiti sotto un camion o una bicicletta; cadono dalla finestra, perdono quel che avevano in tasca e persino il conto dei giorni.” Se i famas conoscono ogni risposta, ma per sicurezza ripongono le domande in soffitta e le esperanzas sono sciocchi filamenti appesi al cielo, i cronopios disordinati e tiepidi arrivano sempre dopo e posseggono sempre meno. Mentre portano avanti il peso della propria solitudine, conquistano per la tenerezza del loro essere fuori posto, qualora li si veda coricarsi sotto un fiore, disegnare ali di rondine sul dorso di una tartaruga o carezzare i ricordi a zonzo nel salotto. Nella logica di immagini contrapposte, la fantasia ilare e gentile e calorosa di Cortázar svela un modo di conoscenza che raggiunge la poesia mescolando geometria e finezza. Le descrizioni minuziose costruiscono un universo che affonda le sue radici in Buenos Aires. La natura visionaria deriva da Poe, dal surrealismo e dal jazz. Il segreto è la capacità di astrarre e dar vita ai dettagli. I lampi del sogno si colorano di un riso beffardo e melanconico che fa germogliare il misterioso dal corporeo. Lotta col tempo che passa, la scrittura è un orologio che va indietro: “Meditazione del cronopio: «È tardi, ma meno/ Tardi per me che per i famas,/ per i famas è cinque minuti più tardi,/ andranno a letto più tardi./ Io ho un orologio con meno vita, meno casa/ E meno andarmene a letto/ Io sono un cronopio disgraziato e umido»./ Mentre beve il caffè al Richmond di Florida, bagna il cronopio il suo biscotto con le sue lacrime naturali.”
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