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Da Trieste giungono due libri molto diversi, che ci restituiscono l'ottica di un osservatorio privilegiato alla cerniera tra Europa centro-occidentale ed Europa balcanica su esperienze e sviluppi prossimi e meno prossimi nell'area considerata, che acquistano per molteplici ragioni un sapore di attualità alla luce degli accadimenti recenti nell'area della ex Jugoslavia. Nella stessa collana della Libreria Editrice Goriziana, Giampaolo Valdevit, ricercatore presso l'Università di Trieste e fino a poco tempo fa presidente dell'istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli - Venezia Giulia, propone la rivisitazione critica della questione di Trieste sullo sfondo della dimensione o dello scenario europeo, proiettandola nell'orbita della grande politica internazionale e depurandola dei luoghi comuni legati all'immagine stereotipa di una storia e di una memoria schiacciate e immiserite dai frutti provinciali e velenosi degli opposti nazionalismi, quello italiano e quello slavo; Marco Dogo - docente di storia dell'Europa orientale presso lo stesso ateneo, e tra i più fini conoscitori non solo di "storie balcaniche", come con lodevole prudenza intitola il suo libro, ma della complessa storia dei popoli e delle nazionalità che hanno dato la fisionomia culturale prima ancora che politica all'intera penisola - in una serie di contributi specialistici pone il lettore di fronte alle tante facce di un universo che sarebbe impossibile appiattire secondo i parametri di sviluppo tipici dei modelli euro-occidentali. Si può dire che ciò che accomuna i due libri è lo spirito di ricerca, lo sforzo di non cedere a un richiamo di mode o di attualità.Il che oltretutto conferisce agli esiti della ricerca uno spessore di maggiore incisività non soltanto dal punto di vista specialistico ma proprio sotto il profilo di una lezione attuale dei momenti storici e dei fenomeni studiati. Sotto il rifiuto degli autori di assumere toni polemici non è difficile scorgere a chi si indirizzano le proposte correzioni di luoghi comuni, di semplificazioni interpretative e di scorciatoie storiografiche. Si potrebbe attribuire l'apparente asetticità degli autori a un fatto generazionale, che li accomuna sicuramente, se non dovessimo insistere e sottolineare piuttosto un'opzione di metodo, di buon metodo storico, nel quale rientra quel processo incessante di revisione (beninteso: nulla a che fare con il cosiddetto revisionismo storiografico!) cui fa esplicitamente riferimento Valdevit quando riflette sulle domande nuove che la fine della guerra fredda (e delle sue conseguenze anche culturali) pone anche e soprattutto agli storici. Lungi dal considerare Trieste ombelico del mondo (come fu deplorevole vezzo di pubblicisti più che di storici provinciali in passato), Valdevit assume la centralità di Trieste per fare capire l'incrocio di interessi e di influenze che sulla città adriatica conversero o che da essa si divaricarono. Molti aspetti delle vicende che nell'immediato dopoguerra triestino furono lette con un'ottica strettamente locale o fuori dai grandi temi che dominavano la dialettica tra le potenze della coalizione antifascista e antinazista, acquistano in una dimensione di più lungo periodo connotati e qualità nuovi: ecco allora il tema del "difficile cammino verso la democrazia" diventare "il carattere di fondo del dopoguerra triestino". Ecco allora l'interpretazione del tentativo di internazionalizzare Trieste (con il cosiddetto Territorio libero) come parte della politica di sicurezza statunitense per sottrarre l'area allo scontro degli opposti nazionalismi. Ecco infine, per fare un altro esempio, che la controversia per Trieste, almeno dalla metà del 1946, non va vista solo in funzione dell'espansione e del consolidamento della Jugoslavia di Tito, ma come momento "dell'antagonismo fra Est e Ovest", in un contesto sicuramente più ampio e al tempo stesso dominato da preoccupazioni geopolitiche assai più che da pregiudiziali ideologiche. Uno spunto che ci pare un leitmotiv dei saggi qui raccolti da Valdevit, che incrocia approccio storico e categorie concettuali e interpretative proprie dello studio delle relazioni internazionali. Il piano rigorosamente storico è viceversa il terreno sul quale si muovono i contributi di Marco Dogo - autore fra l'altro di un cospicuo studio sul Kosovo (Marco, 1992) -, che ha raccolto inStorie balcaniche interventi e relazioni svolti in convegni e seminari internazionali. "Frammenti di una storia" li definisce l'autore; ma questo non è solo un modo per sottolineare il carattere non organico del libro, risultante da una serie di interventi su realtà diverse (dall'Albania alla Macedonia, alla Bulgaria, dalla Grecia alla Serbia), ma solo in apparenza occasionali: ci sembra anche un suggerimento di lettura volto a sottolineare le tante facce di cui si compone il percorso storico delle popolazioni della penisola balcanica sino all'odierna fase caratterizzata pur sempre da una ricerca di assestamento. Nell'impossibilità di scendere in dettagli, mi pare che dal libro di Dogo si dovrebbe dedurre un modo di guardare alle vicende dei paesi balcanici attento soprattutto alla specificità dei processi propri della loro "modernizzazione" e non ricalcati su, né omologabili a, modelli occidentali. Si pensi solo all'importanza della presenza musulmana anche nella determinazione dei caratteri di nazionalità, per avere un primo forte riscontro della non fungibilità di categorie e interpretazioni storiografiche. Si sarà già capito che il nucleo centrale della riflessione di Dogo riguarda la mappa geopolitica della ristrutturazione dei Balcani e del peso che in essa hanno avuto il principio di nazionalità e quello di autodeterminazione negli ultimi due secoli. Dai complessi e talvolta sottili ragionamenti di Dogo vorrei estrapolare almeno tre punti in cui la riflessione storica si presta a fare da commento quasi senza saperlo alla cronaca di oggi. Il primo sottolinea la verità che "nessun riconoscimento esterno di sovranità può colmare il deficit interno di legittimazione"; il secondo che nessun collegamento automatico va stabilito fra l'esistenza di un gruppo etnico e la formazione di uno Stato. Il terzo, che è quello di più esplicita attualità, avverte che soltanto la rapida integrazione europea dei paesi balcanici si prospetta come la migliore prevenzione di potenziali conflitti. Parole scritte prima della recente guerra, facilmente profetiche, che si vorrebbe potessero essere presto realizzate al pari dell'affermazione (o dell'auspicio?) tutta da verificare che "la Serbia e i Serbi hanno in Europa più amici di quanti credono di avere".
Valdevit, Giampaolo, Il dilemma di Trieste. Guerra e dopoguerra in uno scenario europeo, Libreria Editrice Goriziana, 1999
Dogo, Marco, Storie balcaniche. Popoli e stati nella transizione alla modernità, Libreria Editrice Goriziana, 1999
recensioni di Collotti, E. L'Indice del 1999, n. 10
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