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recensione di D'Elia, G., L'Indice 1998, n. 2
Lo schema del romanzo è questo: c'è una donna che ricorda mentre scrive. La finzione vuole che Elsa de' Giorgi, passando all'editore col suo nome il manoscritto che le ha consegnato la protagonista X (che ne è anche l'autrice), firmi il romanzo "Una storia scabrosa". L'oggetto del ricordo è una storia d'amore tra una cinquantenne e un giovane intellettuale del '68. La voce narrante ricorda un episodio di trent'anni precedente al momento in cui la storia viene narrata. Andrea e X si amano, fanno un viaggio in Francia, venendo via da una Roma di botte e scontri di piazza, per una Parigi invasa dalla contestazione giovanile. Andrea è marxista e X un'esteta, una donna bella e raffinata, colta e ricca.
La terza persona permette alla de' Giorgi una distanza, e quasi una freddezza da referto, riguardo a un tema che era già stato suo nel piccolo capolavoro de "I coetanei" (1955). Ma lì la prima persona e la passione erano politiche, di testimonianza storica di una generazione e di una classe (la borghesia intellettuale democratica italiana) che prendeva coscienza del crimine fascista, mentre qui, in questo romanzo privato truccato da romanzo decadente, il tema della passione riguarda più il tempo che la storia, più il corpo che il mondo. È la passione erotica come esperienza incomunicabile, il fantasma tematico del libro. Lo sfondo d'epoca della rivoluzione italiana ed europea, del suo fallimento, non è tuttavia un semplice cartone contro il quale scorrerebbero le ombre dei due amanti presto divisi. Anzi, il fallimento del loro amore e quello della rivoluzione sociale e politica sembrano specchiarsi. Il moralismo e l'impotenza che X contempla nel suo amato Andrea, "la sterile intelligenza" del suo verbalismo ideologico datato, sono il rovescio del suo approdo conformistico, del ritorno all'ordine, e cioè per lui all'insegnamento e al matrimonio, dopo la parentesi del giornalismo e dell'utopia politica e amorosa.
Ci sono squarci di visione, tra i dialoghi dei due amanti in viaggio per mezza Europa, di una nitidezza ammirevole, inquadrature e didascalie sui boulevard parigini invasi dagli studenti e dalla parola dominante della rivolta contro tutto: "Merde". Ci sono alberghi di lusso e amplessi, sonni, fughe con la Ferrari di città in città, fino a Praga occupata, grandi richieste maschili di ascolto, femminili di sesso, ma soprattutto c'è la mente al lavoro sulla sua memoria. Il corpo stesso viene allontanato, per poter pensare di notte nel letto d'amore. Perché il romanzo è soprattutto una storia privata, come si diceva, riassumendo in sé tutti i motivi della vita e della scrittura di Elsa de' Giorgi: il narcisismo e la conoscenza, l'eros e l'estetismo, il secolo con le sue speranze rivoluzionarie e i suoi fallimenti, il richiamo mondano e la fuga meditativa. Una privata memoria, vestita in forma di figura romanzesca, tra biografia e fabula.
La tecnica narrativa è quella del raddoppio proustiano, del ricordo nel ricordo: la vicenda con Andrea ne richiama una d'adolescenza con un ragazzo, Filippo, straordinario copista di opere d'arte. La gran parte del libro descrive infatti la vita di X in un grande palazzo, la sua sorte di ragazza segnata dalla ricchezza e dalla sfortuna, la tragedia della madre infedele e pazza assassinata dal padre, il suo affidamento a una zia, il matrimonio con un Lord imparentato, il collegio inglese. Sembra di essere in un romanzo d'appendice, ma le pagine della ragazza che corre per le gallerie piene di quadri famosi nelle sale del palazzo, con la sua prima volta erotica davanti a una Danae del Correggio, sono tra le migliori. L'erotismo dell'arte vissuta come identificazione fisica col rappresentato, reso con una sintassi morbida ed esatta, trasmette col lusso di un gusto estetizzante alla Huysmans le tracce dannunziane ancora vive (ma anche altre, disilluse, postromantiche, come di una Berberova italiana nel sangue della nostra letteratura).
Ma è l'ossessione del complotto d'interesse contro l'arte, nel quale si riflettono forse le vicende biografiche già narrate ne "L'eredità Contini Bonacossi" (Mondadori, 1988), l'altro tema o sottotema del libro, con la figura dell'ambiguo critico Federico, che sposerà in seconde nozze X, alla quale verrà strappato l'amore di Filippo, costretto alla fuga e alla clandestinità, quindi liquidato, come in un giallo, da chi temeva la sua parola a causa dei falsi dipinti nello studio del grande palazzo del Lord, spogliato della Danae e dell'amore per sempre.
L'eros scoperto da soli, tentato con l'altro, sconfitto, ritrovato e riperduto, ma riscattato dal racconto di duplice memoria che ne svela la passione ininterrotta, ci consegna così, col giudizio sulla mercificazione dell'estetico, l'ultima pagina postuma di una grande attrice e buona scrittrice come Elsa de' Giorgi, scomparsa con la sua antica gioventù nel settembre del 1997.
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