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Ivo Andrić (1892-1975), unico premio Nobel jugoslavo per la letteratura (1961) e suo più importante rappresentante, pone al centro della propria opera (racconti, romanzi) la Bosnia non soltanto come semplice fatto biografico e geografico, bensì anche come simbolo di un mondo complesso e spesso impenetrabile, sospeso tra Oriente e Occidente, groviglio di diverse civiltà, culture e religioni. Quasi sempre identificato nel narratore-cronista della Bosnia, Andrić fu presentato anche in Italia in questa luce, già a partire dalle prime sporadiche traduzioni dei racconti e, più sistematicamente, quelle dei romanzi (Il ponte sulla Drina, La cronaca di Travnik, Il cortile maledetto), a partire dagli anni sessanta, uscite dalla fucina dei migliori traduttori (Luigi Salvini, Bruno Meriggi, Jolanda Marchiori, Lionello Costantini e altri). Il volume, dal titolo significativo, risulta interessante e importante per almeno due motivi: dei quattro testi andriciani giovanili qui presentati organicamente per la prima volta (Esaltazione e rovina di Toma Galus, Dalla parte del sole, L'impero di Postrunik, La storia maledetta), soltanto il primo è stato già pubblicato. Gli altri, sebbene unità autonome, sono frammenti di un romanzo incompiuto, prima mai tradotto e anche in originale poco noto; quindi una vera "chicca" anche per i conoscitori. Nell'introduzione è poi sottolineato il fatto che, privilegiando le tematiche legate al mondo balcanico da parte di traduttori e critici, sia rimasto poco noto, quasi "trascurato" quell'Andrić diverso, legato allo spazio europeo, come dimostrano questi racconti, ritenuti un "passo importante in tale direzione". Sullo sfondo regna quella storia "maledetta" che divora il singolo, coinvolgendolo suo malgrado; la cornice, invece, è Trieste e i suoi dintorni (Opicina, Monfalcone, Vienna) alla vigilia della prima guerra mondiale. Gli spazi (il porto, la piazza, la via) simbolicamente legano la città al tema del carcere, della sofferenza (Toma Galus) e della miseria delle perversioni umane (Postrunik), affogate nel buio, al quale è contrapposta la purezza del sole, la libertà e la delicatezza della sfumata figura femminile ammirata dai carcerati attraverso le grate delle finestre. Con il racconto sulla bella viennese Irena von Klaretics, invece, la parabolla del male si completa e porta a un tragico destino tutti i protagonisti (il tenente Barcsay, l'ebreo Saltzer, il vecchio Frey).
Ljiljana Banjanin
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