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Storia di Monselice
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Dettagli

1988
1 gennaio 1988
272 p., ill.
9788871150086

Voce della critica

VANZETTO, LIVIO / BRUNETTA, ERNESTO, Storia di Treviso

MERLIN, TIZIANO, Storia di Monselice
recensione di Lay, A., L'Indice 1990, n. 5

L'ampio progetto di una collana di storia locale, che propone prospettive originali, ci viene offerto in occasione dell'uscita dei primi due saggi: "Storia di Treviso" e "Storia di Monselice", di Livio Vanzetto ed Ernesto Brunetta il primo, e di Tiziano Merlin il secondo. Il progetto editoriale, ideato da Emilio Franzina e da Mario Isnenghi e realizzato dalla nuova, ma, sembra, molto vitale editrice Il Poligrafo di Padova, si presenta articolato e organico insieme, mosso dalla giusta ambizione di inserire i contesti locali nel quadro di dinamiche più ampie, di toglierli in sostanza "dall'isolazionismo della vecchia e nuova erudizione municipale", senza peraltro sottrarli alle loro specificità. "Le città nelle Venezie" è il titolo promettente della collana che prevede una serie di venti altre monografie, una delle quali ("Storia di Bolzano" di Rolf Petri) appena uscita, due di imminente comparsa e altre in preparazione e che intende coprire l'arco temporale che va dall'Unità ai nostri giorni. Il fatto che il programma intenda privilegiare i piccoli centri rispetto alle città maggiori (già oggetto d'altronde di studi complessivi) non è casuale ma risponde ad un preciso interesse, che mi sembra costituire l'asse centrale del progetto e insieme la condizione del suo sviluppo, verso una delle più radicate tradizioni del policentrismo italiano, un "fenomeno costitutivo e caratterizzante, ma più nominato e celebrato che studiato a fondo".
Non sono tuttavia solo le lontane tradizioni municipali a orientare la scelta dei centri urbani dei quali si vuole ricostruire la storia; sono piuttosto la rilevanza delle articolazioni di una realtà collettiva, le possibilità (ed è anche un problema di fonti) di interazione tra storia sociale, storia politica di istituzioni, uomini e gruppi, realizzando in questo modo - sottolineano Franzina e Isnenghi - la convergenza e la complementarità di approcci diversi e superando quei rischi di "municipalismo giubilare e di erudizione bancaria" che già nel '78 Lanaro indicava come i peccati capitali di una certa storia locale. Ma uno dei nodi più complessi che il progetto si propone di affrontare è costituito dall'esigenza di evitare due pericoli nei quali è incorsa molta storia locale in Italia negli ultimi anni: quello rappresentato dalla ricorrente tentazione di frammentare e riframmentare, costruendo e isolando storie di singoli aspetti o istituzioni locali avulsi da un contesto, che pure li condiziona quando non li determina, e quello costituito dall'ormai annosa e spesso infruttuosa contrapposizione tra lo studio dei processi di formazione di determinate realtà, ivi comprese le istituzioni, e gli aspetti e i problemi della 'vita quotidiana'.
Alla sua prima prova il progetto di questa collana mi sembra mantenere le promesse fatte dai curatori. I due volumi su Monselice e su Treviso concentrano esplicitamente l'attenzione sulle dinamiche interne alla realtà cittadina senza tuttavia che il territorio circostante venga completamente sacrificato e ignorato. In tutti e due i volumi infatti il contado costituisce una presenza costante e ravvicinata. Per Monselice è un punto di riferimento che consente la ricostruzione a grandi linee (quasi una premessa) delle formazioni e delle stratificazioni sociali in un gioco di elementi che concorrono alla conservazione e alla sostanziale immobilità. Per Treviso invece la dinamica città-contado assume caratteri diversi. Una frattura è segnata sul territorio dalle mura e nella vita degli abitanti dalla cinta daziaria che, diversificando in modo significativo le condizioni di chi abita al di qua o al di là di questa barriera, separa irrimediabilmente "all'interno delle stesse masse popolari [...] contadini suburbani e cittadini entro le mura".
Nella vicenda di Monselice ben s'intrecciano storie personali, medaglioni che ritraggono personaggi inediti e curiosi di varia e anche molto diversa appartenenza sociale, analisi delle strutture sociali e ambientali e indagini sui comportamenti collettivi. Ne esce un quadro che smentisce alcuni radicati luoghi comuni sulla tradizionale passività della "gente del contado" e di alcuni gruppi sociali della "gente della città" che hanno semmai in comune la cultura della piccola comunità preindustriale con l'accentuazione di tutti i caratteri peculiari di un mondo in cui coesistono tensioni allo sviluppo e forti resistenze al mutamento. Si tratta di una cultura legata, ancora e molto, ad atteggiamenti tutti interni ai 'luoghi' nei quali vengono celebrati i suoi riti e custoditi i suoi miti. E questi luoghi, il ruolo che tradizionalmente essi assolvono nella vita della città, rappresentano un punto unificante nel tessuto della narrazione, perché intorno ad essi si concentrano le aspirazioni, i desideri, i disegni politici, le abitudini quotidiane degli abitanti, dall'operaio che maneggia per abitudine il coltello al contadino che non ne disdegna l'uso in particolari circostanze, dal sindaco al prete, al segretario della Camera del Lavoro.
Qui, a Monselice, come del resto in molti piccoli centri anche al di fuori dell'area veneta, municipio e altare costituiscono i punti di riferimento istituzionali, gli unici ad essere in qualche modo, e neppure sempre, riconosciuti, in una cultura che privilegia il rapporto personale e diretto anche nell'esercizio della giustizia e che tende a scavalcare la mediazione o l'intervento dell'istituzione. Si tratta peraltro di istituzioni che nell'arco di più di un secolo si muovono senza sostanziali rotture, con ripetitività significative; e ripetitivo a determinate scadenze sembra anche l'atteggiamento della 'gente'.
Merlin sottolinea ad esempio - e questo mi pare une delle tesi più interessanti del libro - come i comportamenti della classe dirigente locale possano passare intatti e sempre uguali a sé stessi anche attraverso rivolgimenti politici quali il fascismo e la seconda guerra mondiale. Dopo il fascismo e la guerra poco o nulla sembra mutato nella struttura dell'economia; poco, ma qualcosa in più forse, nella vita dei cittadini. Si estingue quel tanto di insediamento industriale che l'economia di guerra aveva creato e potenziato e l'unica realtà produttiva, l'unica prospettiva occupazionale s'identifica ancora nell'antico binomio agricoltura e lavoro nelle cave. Tornano ad essere protagonisti da un lato il clero locale, ampiamente compromesso con il passato regime, il padronato agrario, la folla di lavoratori agricoli ad essi legata da ragioni di cultura e di sopravvivenza, dall'altro i braccianti, gli scavatori, i disoccupati: due 'blocchi' che si riformano e richiamano il passato. Eppure questi ritorni, che uniscono per disegnare un quadro complessivo di immobilità, si producono all'interno di una realtà abbastanza vivace e tutt'altro che immobile: il sogno, tenacemente perseguito, di creare un'industrializzazione a misura della città, l'esperienza culturale della piccola borghesia fascista, che Merlin descrive con particolare efficacia, ne sono solo due esempi. Le conclusioni del libro che si chiude con un lungo dopoguerra sembrano particolarmente aperte sull'oggi, sulla "grande speranza" che qualcosa possa ancora cambiare nel torpido mondo della "Monselice di sempre".
Piccola borghesia e clero sono ancora i protagonisti principali della storia di Treviso che Vanzetto ricostruisce dall'Unità agli anni venti, sottolineando il problema mai risolto del rapporto città-campagna, e Brunetta dal fascismo ad oggi, riconoscendo un momento di frattura di una pesante continuità solo negli anni sessanta. Piccola borghesia e clero sono dotati di una marcata consapevolezza del proprio ruolo sociale e politico, efficacemente rappresentata dalle immagini fotografiche di gruppo (pp. 110 e 111) che fanno da supporto all'indagine; sono i ceti laboriosi che al pari di quelli cenciosi vengono narrati da Vanzetto con l'espediente originale di raccontare la storia della città attraverso i riferimenti ai suoi monumenti, ai suoi edifici, agli spazi pubblici dei quali emblematica è la piazza dei Signori. Nell'età giolittiana si collocano gli unici veri mutamenti della realtà trevigiana tra metà Ottocento e fascismo, che poco toccano la stratificazione sociale, ma che intervengono invece nell'assetto urbanistico, e in parte nell'economia della Città, creando anche uno spazio per diverse dinamiche culturali e politiche. L'epilogo, rispetto a questa Treviso progressista, che aveva cercato di allargare la cinta daziaria e di intervenire su buona parte del suburbio, è però "la rivincita clericale", un ritorno al mondo clericomoderato, reso dinamico da movimenti interni dei quali l'invasione dei contadini bianchi fu l'ultimo atto prima del fascismo.
Descrivere il trauma della prima guerra mondiale, dei problemi del dopoguerra, del fascismo emergente e insediato fino alla seconda guerra mondiale e ai mutamenti degli anni sessanta e settanta a Treviso è compito di Brunetta; egli racconta la storia di una città sconvolta da due guerre, nella quale la chiesa costituiva, con continuità, un riferimento e una certezza, elargiva asilo, assistenza e protezione per gli abitanti colpiti dai bombardamenti, dalle rappresaglie, dalle incursioni; e la chiesa riempiva anche quei vuoti di autorità civile che si erano prodotti e li riempiva con una legittimazione e in parte una autolegittimazione i cui effetti non vennero del tutto sradicati neppure dai "radicali cambiamenti degli anni sessanta" e furono poi parte delle contraddizioni degli anni settanta. Pagine interessanti, anche se forse un poco frettolose e incalzanti, sono dedicate alle prospettive e agli esiti politici e culturali di alcuni fenomeni del secondo dopoguerra e infine del Sessantotto e alle conseguenze economiche di un'iniziativa industriale destinata ad assumere proporzioni internazionali come la Benetton.
Appagare "la diffusa voglia di storia locale" in un "quadro comparativo" e contemporaneamente applicare tutti gli strumenti che griglie interpretative di processi più generali e globali offrono per ricostruire e tarare una storia locale - bene integrando logiche di macroanalisi con percorsi di microanalisi - mi sembra l'obbiettivo raggiunto da questi studi.

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