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Un libro monumentale, di ampissimo respiro. Una storia della società dell'informazione che parte dal pensiero di Leibniz, fino ad arrivare alle moderne innovazioni nel campo della comunicazione. La geopolitica è la chiave utilizzata per comprendere la "ratio" di ogni progresso nel campo dell'informazione, in una prospettiva nella quale la logica del potere e le modernizzazioni tecnologiche si tengono per mano. Un testo di grande erudizione, capace di appassionare anche chi non ha interesse verso la sociologia dei media e della comunicazione.
Parte male: linguaggio ricercato, storia troppo dettagliata dall'antichità dell'informazione, fatti illustrati in modo troppo rapido e senza adeguate spiegazioni dei riflessi sociali. Ma dopo il periodo della Storia arriva quello della contemporaneità, e qui l'autore innesta alcune marce in più e trasforma il saggio in una analisi della società dell'informazione che considera i punti di vista dei sostenitori come dei detrattori, ed a questi aggiunge la sua idea. Libro molto valido, sicuramente meglio del molto sopravvalutato Castells. Cap.1-2 storici/accademici (da St. antica fino a Riv.Industriale); troppo nozionistico e sintetico per essere stimolante. Dal Cap.3 alla fine il libro è in deciso crescendo, con sempre maggiore considerazione/spiegazione dei riflessi sociali dello svl delle comunicazioni. Cap.3: nascita dei ThinkTank tra le due guerre; postww2 e costruz.consenso (Social System Engineering); scissione cultura-comunicazione; info come business; tendenze deterministe e tentativo di anticipare la Storia deducendo gli sviluppi. Cap.4 '60 postindustrializz: fine ideologie, individualismo, rapp scienza-scienziati-valori-comunicaz-politica-progresso; boom dei previsionali (svl conc di democrazia previsionale); ruolo politico-comunicativo di Brzezinski. Cap.5 svl reti-computer e pol.pubbliche (Computepolis Jap); rapp tra flussi info, sicur.Naz, sovr.Naz; svl monopoli in gestione reti e libero mercato in gestione contenuti; nascita clevage informati-disinformati, accesso alle info in ambito scolastico, digital divide; privatizz reti, ruolo informatici, globalizz dati e finanza, crollo del sapere in rapporto alla informazione. Cap.6 info e geopolitica: net/cyber war; sapere per pochi ed info per molti; ritorno delle prerogative nazionalistiche e legame con mercati e militari per ridurre i flussi di info; nascita di comunità transnazionali e cyberspazio tendente all'anarchia [secondo me sopravvaluta]; tecno-apartheid; possibili prossimi sviluppi.
Recensioni
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Ripercorrendo le tappe storiche della creazione del reticolo tecnologico e informativo planetario, Mattelart ricostruisce una dettagliata genesi della "società dell'informazione" come risultante di una costruzione geopolitica, frutto di evoluzioni e processi strutturali assai anteriori a quella che è convenzionalmente definita la "rivoluzione dell'informazione". La stessa nozione di "società dell'informazione" (correlata alla tesi della fine delle ideologie e alla filosofia del postindustriale) è ricondotta, con i suoi vagheggiati caratteri di maggiore solidarietà, apertura e democrazia, alle utopie della comunità universale e della società decentrata. Da sempre, e comunque sin dall'invenzione del telegrafo ottico di Chappe nel 1794 (esaltato dai rivoluzionari dell'89 quale strumento per costituire, mediante le diramazioni fra cittadini e la moltiplicazione delle linee attraverso tutto il territorio, una grande repubblica democratica), quelle utopie hanno scandito il progresso delle reti di comunicazione a distanza, grazie alle cui promesse redentrici di emancipazione e di superiore integrazione (la "riconciliazione della grande famiglia umana", originatasi con l'idea di nazione e sognata da tutti gli utopisti) è sempre parso poter ricostruire, sulla scala di un'intera nazione, le condizioni dell'agorà ateniese.
Diffusamente presentatoci come ispirato da un rinnovato "sentimento dell'umanità", in realtà il progetto di totalità comunicante è sorto, non a caso, per rispondere alle esigenze dello sviluppo del capitalismo moderno, che disseminerà il mondo di reti ferroviarie e finanziarie, linee marittime e canali interoceanici; e ha posto il paradigma tecno-informatico come asse di un progetto geopolitico (decostruito dalla lucida analisi di Mattelart nei suoi risvolti diplomatici, militari e manageriali) con lo scopo di "garantire la riorganizzazione economica del pianeta attorno ai valori della democrazia di mercato in un mondo unipolare". Punto di svolta è la dottrina sulle nuove forme dell'egemonia impostasi negli Stati Uniti alla fine degli anni sessanta con la "rivoluzione tecnotronica" dello studioso di geopolitica Zbigniew Brzezinski. La forma della società tecnotronica, "determinata sul piano culturale, psicologico, sociale ed economico dall'influenza della tecnologia, in particolare dall'informatica e dalle comunicazioni", obbliga a ridefinire il carattere dei rapporti che gli Stati Uniti (prima "società globale" della storia) intrattengono con il resto del mondo; ne deriva il dovere di affrontare il problema strutturale di una rivoluzione informatica improntata sul modello economico della globalizzazione ultraliberista: quello dell'esclusione (la cosiddetta "frattura digitale") che contrassegna i modelli di comunicazione propri delle nuove tecnologie dell'informazione con una sorta di "tecno-apartheid", poichè appena il 2 per cento della popolazione mondiale è collegata a Internet.
Nella lucida argomentazione di Mattelart, questo progetto si riduce a una tecno-utopia, a un determinismo tecno-mercantile in cui i collegamenti, nel contesto delle nuove logiche della sicurezza, diventano sempre di più modalità di sorveglianza e di controllo sociale, e dove forte è la tentazione di criminalizzare ogni forma di contestazione collettiva verso il programma tecno-globale di riorganizzazione del pianeta. Di fronte a questa prospettiva occorre riappropriarsi delle nuove tecnologie, contrastando quel privilegio, assegnato loro dal neo-darwinismo informatico, di rappresentare il fattore esclusivo del cambiamento. Il piano d'uscita sta nel disegno di riconsiderare la tecnica nella sua qualità di strumento di costruzione sociale: "Una società diversa è possibile. Una società che si fondi sulla condivisione dei saperi e riconosca a tutti i popoli il diritto alla memoria. Una società governata non più dalle forme del determinismo tecnologico ma dalla pluralità dei soggetti umani che ogni costruzione sociale esige".
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