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Una storia dov’è esposto il conflitto tra il romanticismo - di cui è seguace il giovane Aleksandr, in procinto di lasciare la tenuta paterna (dove ha condotto un'esistenza idilliaca ed immutabile) alla volta di Pietroburgo - e il pragmatismo - impersonato dallo zio di Aleksandr, Pjotr, affarista e burocrate -. A Pietroburgo si consuma il conflitto tra i due modelli di vita: Aleksandr, annoiato dalla campagna, intende vivere nella capitale perseverando nel suo sogno romantico, mentre lo zio cerca di convertirlo a un più ragionevole realismo. L'ideale romantico di Aleksandr, coltivato nella campagna e germogliato nell'isolamento, si scontra e s'infrange con la frenesia urbana. Pjotr, nonostante sia stato egli stesso romantico, vuole instillargli il proprio modello, concreto e virtuoso, pragmatico: "volgare" per il giovane. Volgare perché orientato all'interesse personale, al lucro, alla carriera, alla fama e alla celebrità necessari ai salotti. Aleksandr aspira alla bellezza artistica, spirituale; al sublime. Ma la sua esistenza è mediocre, il suo ingegno privo di qualsiasi afflato artistico, e lo zio non manca mai di disilluderlo. Aleksandr si sentirà sconfitto su ogni fronte, anzitutto relazionale: l’amore eterno mal si concilia con la necessaria imperfezione umana. Sarà tradito e tradirà. E finirà con l'accettare un matrimonio d'interesse. Dopo dieci anni di tormenti, sceglierà di divenire pragmatico. Ma anche Pjotr perde. Sua moglie, Lizavèta, è soffocata dalla quotidianità, dall'indifferenza di un marito "assorbito negli affari". A livello relazionale, Pjotr ha fallito. Non comprende Lizavèta: il pragmatismo offusca l'etica, cioè la cura dell'altro in quanto individuo diverso da sé, che necessita di cure. Ella è malata, abulica, perché incompresa e sola. E per lei si prospetta un viaggio in una località termale. Per Aleksandr, una carriera di industriale. Per Pjotr, il rimpianto di un'ascesa interrotta, costretto com'è a curare la moglie, e una vaga inquietudine. Una storia sul disincanto. Una storia comune.
Potremmo definirlo la versione semplificata di Oblomov. Ma è comunque bello e addirittura divertentissimo. Il protagonista è una sorta di Fantozzi ante litteram, che passa ogni genere di sventure sentimentali, alcune quasi grottesche, in un percorso esistenziale che lo porta a domandarsi quanto si possa vivere senza il cinismo e l'opportunismo pratico, quest'ultimo interpretato dallo zio, anziano e smaliziato. Ago della bilancia è una bellissima e tenera figura di donna, forse la voce stessa dell'Autore. Le riflessioni ed i dialoghi sono di grande livello. Consigliabilissimo.
Recensioni
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recensione di Pallotta, P., L'Indice 1997, n. 1
Ivan Goncÿarov (1812-91), dopo gli studi universitari a Mosca, scelse di fare per tutta la vita l'impiegato: uomo prudente, allergico a ogni iniziativa, fu sostanzialmente un conservatore. L'unico avvenimento degno di rilievo fu la sua partenza per il giro del mondo, intrapreso controvoglia, dal quale rientrò con due volumi di note di viaggio, "La fregata Pallade": un resoconto, il suo, ingiustamente accusato di superficialità e leggerezza. In realtà, i capitoli sul Giappone e quelli sull'Inghilterra risultano di notevole interesse: Goncÿarov vede nella società nipponica del tempo (ancora feudale) un mondo fedele alla sua antica civiltà e per certi aspetti affine al modo di vita e alle vecchie usanze della Russia; nella realtà industriale britannica scorge un esempio della "civiltà materiale", dove l'efficienza si impone a scapito delle "virtù private", cioè dei valori spirituali.
La contrapposizione tra il "Giappone" e l'"Inghilterra" costituisce, come ha posto in evidenza Vittorio Strada, il "filo comune" che connette i romanzi goncÿaroviani: vale a dire la trilogia che lo scrittore compose nell'arco di ventidue anni, "Una storia comune", del '47, "Oblomov", del '59, e "Il burrone", del '69. Se è vero che "Oblomov" rappresenta il suo risultato più alto ("Il burrone" è un romanzo povero di immaginazione, dove l'intento teorico prevale sull'ispirazione), "Una storia comune", pur essendo un'opera a tesi, risulta non solo ricca di interesse dal punto di vista sociale e psicologico, ma è una narrazione dalla struttura compositiva rigorosa, nella quale l'impianto concettuale non prevale sulle esigenze della rappresentazione e dove si ritrova una varietà di toni di grande ricchezza espressiva (lirico, umoristico, ironico), perfettamente fusi tra loro. Il tema di fondo del romanzo è quello delle illusioni perdute e della rinuncia: è cioè la storia della presa di coscienza di una impossibilità, quella di poter realizzare un progetto esistenziale irrealistico, nutrito di illusioni romantiche.
Goncÿarov racconta la vicenda di un giovane di campagna, Aleksandr Aduev, che si trasferisce a Pietroburgo, la città che è il centro culturale ed economico della nuova civiltà urbana, destinata a soppiantare le consuetudini, i miti e i rapporti umani del mondo provinciale. Il giovane è pieno di slanci e di sogni ed è fermamente deciso a far valere il proprio talento d'artista. A Pietroburgo alloggia accanto allo zio, Piotr Aduev, uno scaltro e cinico industriale di successo. Fra i due si instaura un rapporto antagonistico: è cioè lo scontro fra l'estremismo romantico del giovane e il realismo radicale dello zio, il quale è il tipico rappresentante dell'emergente realtà borghese, fluida e indeterminata, ma nella quale prevalgono l'utilitarismo e l'efficienza della civiltà industriale. Aduev senior non è soltanto l'antagonista del giovane, ma ne è il consigliere e l'irriducibile "fouetteur": i suoi "ammaestramenti" e le deludenti esperienze che il giovane andrà via via facendo (le delusioni nell'amore e nell'amicizia e il fiasco nella letteratura) lo renderanno alfine consapevole della propria identità reale. Frustrato e amareggiato, tornerà a casa, ma, incapace ormai di vivere nella realtà chiusa e sonnolenta della provincia, riparte per Pietroburgo, dove, assimilati gli insegnamenti pratici dello zio, riesce a inserirsi nel meccanismo del mondo "civilizzato". Abbraccia l'ideale concreto della carriera, diviene un uomo d'affari e si fidanza con una ricca ereditiera. I due Aduev alla fine si abbracciano: ciò che adesso li unisce è l'identica visione "realistica" e disincantata della vita - anche se lo zio, prima di diventare un uomo attivo e concreto", era stato in gioventù anche lui un "romantico". Zio e nipote sono dunque in realtà un solo personaggio, visto in diverse tappe della vita.
Goncÿarov ci presenta, con il suo umorismo confidenziale e la sua fine ironia, una storia che è di tutti i tempi e di tutti i luoghi (appunto, "comune"), anche se specificamente russa: è la narrazione di un processo di "deromanticizzazione", emblematica di un'intera generazione. L'autore non soltanto vuole "colpire" il "romantizm" (l'idealismo romantico), ma condanna anche la distruttiva frenesia attivistica e il "filisteismo", che sono sempre la conseguenza dell'inaridimento spirituale. L'estremismo romantico e il pragmatismo esasperato sono per Goncÿarov la negazione dei valori autentici dell'esistenza: la rinuncia ai sogni impossibili e all'ansia di potere e di dominio è per lo scrittore russo la condizione necessaria per evitare la dissipazione di sé, che genera inevitabilmente il cinismo e l'atrofia dell'anima.
Una storia comune è il primo romanzo di Goncarov. Racconta le delusioni e la sconfitta di un giovane romantico, idealista all'eccesso, che dalla provincia russa arriva a San Pietroburgo dove si scontra con la figura di uno zio interessato esclusivamente alla carriera e alla ricchezza. Un modello di vita cui alla fine si adeguerà. Il romanzo, che precede di dodici anni il più famoso Oblomov, uscì a puntate nel 1847 sulla rivista «Il contemporaneo».
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