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Nell’età della morte di Dio, Nietzsche lascia insistere la filosofia sulla soglia della sua estinzione e, conducendola al di là della sua rappresentazione tradizionale, ne collauda la metamorfosi poetica, letteraria, artistica. La filosofia non parla più la lingua dei filosofi, ma una lingua altra, sublime, indicibile, indossa una nuova maschera, aprendo a nuove e illimitate possibilità di nominare l’evanescenza delle cose. È sicuramente questa una delle ragioni della straordinaria diffusione di Nietzsche nella tramatura concettuale di molteplici traiettorie artistiche del Novecento. La propagazione del pensiero nietzscheano ha comportato un’esorbitante quantità di prese di posizione, di gesti di manipolazione, di deviazioni, di travisamenti e appropriazioni più o meno sotterranei. In particolare in Germania, nel nome di Nietzsche per quasi un secolo si è determinata una vera e propria “guerra civile” politico-culturale la cui posta è stata il destino stesso della cultura e dell’identità tedesca. Oggi, forse per la prima volta nella storia tedesca dopo Nietzsche, la funzione effettiva dell’opera e del pensiero del filosofo nella produzione letteraria risulta però sostanzialmente ininfluente. Si tratta di un “vuoto” che però non può essere derubricato a mera questione estetologica, ma concerne molto probabilmente una più sfumata e rilevante circostanza che riguarda l’attuale Zeitgeist tedesco/europeo. Nell’età della fine della storia, quando l’opinione del tempo prevede il dominio della logica della conciliazione e la fine delle differenze in grado di generare differenze, la figura e l’eredità del filosofo del polemos non poteva non divenire ingombrante. Da questa ipotesi storico-concettuale è fiorito un tentativo di elaborazione genealogica che intende contribuire a un’interrogazione sulle ragioni che presiedono all’evaporazione di Nietzsche nello stile tedesco.
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