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Indice
L’autrice definisce lo “stile di leadership” come l’insieme delle modalità con le quali il leader usa i suoi poteri e le sue risorse. Il concetto è articolato su tre dimensioni fondamentali: in primis quella della decisione distinguendo tra un atteggiamento “agentico” e uno “cooperativo”. Il leader agentico è orientato al raggiungimento del risultato e alla risoluzione del problema, portando gli altri sulle sue posizioni; il cooperativo, invece è orientato alla gestione delle relazioni e dà grande importanza al fatto che le decisioni siano condivise in un clima collaborativo. La seconda dimensione è costituita dall’ispirazione, che ha a che fare con la capacità del leader di essere convincente sulla bontà delle sue decisioni e sulla fondatezza della sua visione. Qui Campus usa la dicotomia che distingue la leadership “trasformativa” da quella “transazionale”. Il leader che fa ricorso a uno stile trasformativo è in grado di ispirare collaboratori e seguaci, coinvolgendoli così nel suo progetto. Il leader transazionale, invece, ricorre a incentivi concreti per ottenere la fiducia di collaboratori e seguaci. Infine vi è la dimensione della comunicazione. Sulla base di questo impianto teorico, Campus passa ad analizzare i diversi stili di leadership: da quello empatico di Bill Clinton a quello narcisista di Silvio Berlusconi, da Ronald Reagan, perfetto leader agentico, ad Angela Merkel, leader pragmatico, cooperativo, da Charles de Gaulle, il militare che diventa presidente per rappresentare la nazione contro i partiti, a Margaret Thatcher, il primo leader che ha fondato la sua popolarità più sul consenso al suo stile di leadership che sulle sue decisioni politiche, passando Tony Blair, un caso compiuto di presidenzializzazione del governo, e Romano Prodi portatore, forse suo malgrado di uno stile di leadership forte, non incline alla negoziazione sfiancante, per supplire alla mancanza di partiti a supporto della sua azione di governo.
Recensione di Cristopher Cepernich.
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