"Ma tempo è di venire oggimai a la vita di Giovanni Cimabue; il quale, sì come dètte principio al nuovo modo del dipingere, così è giusto e conveniente che e' lo dia ancora alle Vite; nelle quali mi sforzerò di osservare il più che si possa l'ordine delle maniere loro, più che del tempo, senza descrivere però altrimenti le forme e fattezze degli artefici: giudicando tempo perduto il circunscrivere con le parole quello che manifestamente si può vedere negli stessi ritratti loro, citati et assegnati da me, dovunque e' si truovano". Così Giorgio Vasari conclude il Proemio delle Vite (1550). L'iniziatore moderno del genere biografico rimarca la differenza tra il raccontare le opere seguendo "l'ordine delle maniere" (ovvero degli stili) e il descrivere "forme e fattezze" degli autori: le prime esigono il suo talento di narratore, le seconde si mostrano da sé nei ritratti, che lui stesso si è preso la briga di raccogliere e ordinare. È la conclusione del proemio, ma anche la giustificazione di un inizio: altro nodo fondamentale del biografo: prima di scegliere che cosa sia essenziale e che cosa superfluo, fondamentale è capire da dove cominciare. Primo Levi. The Matter of a Life, di Berel Lang (pp. 177, $ 25, Yale University Press, 2013) si propone come una nuova biografia intellettuale dello scrittore torinese. Il libro di Lang (filosofo, professore emerito a New York Albany) si aggiunge alle tre precedenti biografie su Levi (Myriam Anissimov, Primo Levi: ou la tragédie d'un optimistm, Lattes 1996; Carole Angier The Doble bond. Primo Levi. A biography Ferrar, Straus and Giroux 2002 e Ian Thomson, Primo Levi, Hutchinson, 2002). Il libro è diviso in sei capitoli presentati volutamente a ritroso: il primo si intitola The End e così inizia: "Il 31 luglio 1987, Primo Levi avrebbe compiuto sessantotto anni"; l'ultimo, The Beginning, è addirittura seguito da una prefazione. La struttura capovolta non è capriccio formale: Lang vuole domandarsi, preliminarmente e provocatoriamente, se abbia un qualche senso far entrare il suicidio di Levi la fine nell'analisi e valutazione della sua opera. La risposta, negativa, è di per sé un assestamento metodologico sacrosanto, valido in generale e specificamente utile per Levi, da ribadire in ogni consesso scientifico e giornalistico. Su quest'ottima premessa, Lang costruisce un nucleo centrale che, dopo un intermezzo storico isolato ("The War"), si impegna a dimostrare la vena leviana di scrittore-pensatore morale. La speciale moral imagination, che in Levi agisce in modo da "rivelare aspetti caratteristici delle pieghe e dei dettagli della natura", gli vale (insieme con l'ibridazione tra scienziato e scrittore) l'ingresso in un pantheon, "la compagnia di moralisti e di scrittori edificanti figure come Montaigne e Thoreau, Pascal e Esopo, Emerson, Camus, Orwell". L'accostamento, se può essere in parte illuminante, forza l'ingresso di Levi in una categoria, quella dei moralisti, che nel concreto gli va stretta; ma per accorgersi di questa deformazione sarebbe necessario tenere conto dei suoi scritti fantastici e fantascientifici, che coprono l'intera sua cronologia autoriale (scritto nel 1946, I mnemagoghi esce nel 1948, un anno dopo Se questo è un uomo). Fondamentali per una biografia intellettuale, questi racconti proiettano il lettore in una dimensione dissonante, altra rispetto alla scrittura autobiografica; ma di essi Lang non fa mai parola. Nel capitolo Thinking il pensiero leviano è invece passato al vaglio di cinque temi filosofici: le teorie sulla natura umana, il bene/male, la giustizia, l'ineffabile, il divino. Al di là delle singole analisi, talvolta interessanti per esempio, Lang dimostra finalmente che le considerazioni di Levi sull'essere umano in lager sono ben lontane da Hobbes si è spinti a chiedersi: esisterà un "pensiero leviano"? Si può davvero cercare la sua consistency, come se l'insieme dei libri di Primo Levi fosse un macrotrattato sull'uomo? È questa ipotesi di lavoro, più dei risultati che produce, a lasciare dubbiosi. Il cuore vero del libro (e forse anche una sua scaturigine, dacché è ospitato nella collana "Jewish Lives") è il capitolo The Jewish question: qui Lang si chiede quanto abbia contato in Levi la formazione ebraica nella prima giovinezza. È notoria l'affermazione secondo cui, prima delle leggi razziali, egli aveva considerato l'origine ebraica "come un fatto pressoché trascurabile ma curioso". Su questo punto Berel Lang sostiene che Levi sia in conflitto con se stesso: il suo negare la presenza di un'identità ebraica giovanile è "esagerato", "fuorviante", "sbagliato", e il motivo appare chiaro: i racconti del passato passano secondo Lang attraverso filtri mnemonici più o meno consapevoli, che tendono a modificarli. Ora, è forse superfluo ricordare quanto Levi fosse consapevole delle fallacie di memoria. Fin qui, dunque, poco di contestabile; più accidentata è invece la pars construens del ragionamento: l'idea cioè che Levi avesse subìto una profonda, fondante influenza ebraica in giovinezza, deducibile da Argon,racconto d'apertura de Il sistema periodico. Per la sua controdeduzione, Lang si avvale insomma di un'altra memoria ex post, filtrata dal tempo; non solo. Come ha visto Alberto Cavaglion, "in Argon l'immaginazione prevale sul vero. I biografi hanno saccheggiato il racconto, e gli articoli al racconto connessi, considerandoli una fonte preziosa per 'leggere la vita' di Levi. Nulla di più errato: per la preistoria di Levi Argon è un documento poco attendibile". Al di là delle motivazioni che hanno spinto Lang a indagare la "preistoria ebraica" di Levi, è evidente l'errore logico. Il sottotitolo del libro di Lang, si è detto, è The Matter of Life,instradato sul doppio significato del sostantivo matter:in inglese, problema e materia in senso chimico. Il primo ben si addice al libro di Lang: il suo racconto, più che per fatti o per interpretazioni testuali, procede per nodi filosofici; scarseggia semmai la materia, da intendere come inesorabilità dei fatti e biologia della scrittura. Chi è cercasse una biografia che consideri questo secondo ma non secondario aspetto s'imbatterà con soddisfazione in Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi (pp. 240, 14, Comma22, Bologna 2014). Lo ha scritto Pietro Scarnera ed è il suo secondo graphic novel. L'inizio del libro è letteralmente un tuffo dentro la materia, oltre a presentarsi come cronologicamente e narrativamente perspicuo: le prime tavole sono l'illustrazione di Carbonio,storia di chiusura del Sistema periodico,tavola da cantastorie delle avventure di un atomo. Carbonio fu il primo progetto di scrittura leviano, antecedente addirittura alla deportazione: e Levi addirittura meditava di farne un romanzo. È dunque un inizio-indizio: come nelle Vite del Vasari, si parte da chi "dètte principio", sebbene poi "non si segua l'ordine del tempo". Scarnera in effetti non dice una parola sulla vicenda personale di Primo Levi pre Auschwitz; altro indizio. La storia prende avvio dall'arrivo di Primo e Leonardo De Benedetti nella Torino distrutta dalla guerra, ignari di chi e che cosa sia rimasto delle loro famiglie e delle loro case. Tre sono i piani su cui si svolge Una stella tranquilla: il racconto di come l'ex-prigioniero 174517 diventa lo scrittore Primo Levi; la messa in scena dei suoi libri; e la storia di un Pietro Scarnera agens che vaga per le strade di Torino alla ricerca di indizi, luoghi e immagini per il suo fumetto. Attraverso i disegni si passa da un piano all'altro fluidamente, senza accorgersene; ma la loro compresenza rappresenta senz'altro il terzo indizio per capire che libro stiamo guardando. Il punto è che a Pietro Scarnera sta a cuore Primo Levi scrittore. E il cuore del libro è raccontare come si interseca lo scrivere al vivere, ma con dedizione al primo; alle "maniere" più che alle "fattezze" (cui è concessa solo la riproduzione fedele di alcune foto, con un tratto pulito e diretto). Materia più che questioni,sempre interrogandosi sul senso di continuare a frequentare oggi queste maniere, e storie, e memorie, per lettori che hanno un'età da "nipoti ideali" dello scrittore. Moltissime sono le incursioni all'interno dei testi leviani. Per fare un solo esempio: ci sono almeno tre rappresentazioni, ciascuna differente dalle altre per un fondamentale dettaglio, di un Levi salvato e circondato da un esercito di sommersi. Viceversa, le poche tavole dedicate al lager sono una rielaborazione di disegni del pittore Zoran Music. Quanto ai libri, ci sono tutti, copertina dopo copertina ma senza didascalismi. Compare perfino un Kafka con corpo di serpente, in omaggio alla memorabile definizione che ne diede Levi: "Aveva certamente una sensibilità quasi animalesca, come si
dice dei serpenti che prevedono i terremoti". Nessun tentativo di armonizzare Levi in un unico messaggio, tantomeno un Levi "da svelare"; Scarnera ha usato solo materiale fotografico e bibliografico già noto, non ha fatto indagini private né scoperte. Era l'uovo di Colombo: si può capire al meglio Levi, come scrittore-uomo, semplicemente leggendolo con attenzione e passione dall'inizio alla fine: e raffigurandolo così, in segno di restituzione. Martina Mengoni
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