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Uno dei temi dominanti di questa raccolta sembra essere proprio il movimento in assenza di movimento, il mutamento di stato senza mutamento apparente delle condizioni. Il desiderio di preservare un mondo da un attacco linguistico, concedendo la possibilità di (r)esistere al di fuori del parlato onnivoro, per divenire oggetto di descrizione poetiva, in modo non coercitivo; è come se il poeta entrasse in una stanza dove gli attrezzi da lavoro sono appoggiati, descriverli rievoca il loro uso, così per tutto, e il lavorìo che si accompagna all'esistenza, ma guai a credere che il dettato del poeta possa valere di più, si sente qui l'amarezza di un distacco che il poeta per primo vorrebbe annientare, “La lingua che ho rubato per voi//per le vostre bocche asciutte, contadini.[...] usate pure l'infinito/per scansare le insidie dei verbi. Fino a che non sarà consumato/l'anno non potrete sbagliare:/quello che uno apre e l'altro chiude/produrrà la stessa ombra”(p.94). Soltanto la maturità dell'esperienza artistica, non solo scritturale, può dare adito all'espressione di una poesia che, altrimenti, risulterebbe posticcia e didascalica. Vittorino Curci, ne “La stanchezza della specie” testimonia un'esaustione del contemporaneo cui la poesia può e deve riparare “C'è il silenzio, e io nel silenzio/con questa voce e una lingua non fatta” (p. 87). Vengono toccati ne “La stanchezza della specie” temi urgenti: il vivente è manifestazione di un'epifania reale, tangibile, necessaria, senza riferimento al dato di fatto non c'è nemmeno poesia come trasfigurazione morale del dato stesso; e questa è una delle migliori lezioni di poesia che potevamo ricevere.
La poesia di Vittorino Curci oramai evidentemente matura, dimostra in questa raccolta la sua certa “statura” nel panorama della poesia italiana contemporanea. Partendo dalla tradizione facilmente ripresa da molti recensori come fonte di conoscenza esatta, possiamo considerare, azzardando paragoni, Curci alla stregua di Bodini e Scotellaro, al cospetto dei quali il poeta nocese sembra trovarsi a suo aggio, tanto da apparire in alcune sue raffinate ed alte uscite poetiche, (si noti la parte iniziale di “Astemie” in Resistenza alla luce, e quella finale di “Tutti fermi” in Dopo lunghi appostamenti) anche ben oltre ogni aspettativa di paragone. La dimensione lirica di questa poesia, dotata di misura, e di intelligenza nel respiro, alterna con grossa facilità ne “La stanchezza della specie” un tono che oscilla, tra “l’epico”(in senso lato), dove l’epico è dell’oscuro, nel rapporto tra le cose, l’epico dell’io che si pone all’interno della “definizione poetica di mondo”, e una tensione lirica “fredda” molto vicina alla cifra stilistica della poesia civile, dove la retorica del visione viene meno per lasciare posto ad una contemplazione lucida del quotidiano. Tra slanci di vitalismo e malinconie sempre ben controllate, Curci propone la prosa poetica di un vissuto che viene percorso con una particolare attenzione verso la realizzazione del connubio (per quanto ovvio da ricordare) tra il motivo fattuale e il motivo psicologico. Ovviamente la realtà nel suo divenire in poesia, come oggetto estetico, è un unità originariamente affermata, che se in grado di emozionare, e comunicare, deve essere anche oggetto costituito ed appreso da una coscienza immaginativa che lo pone come irreale, oneiroide, distante, spesso solo difficile da comprendere: in questo senso si colloca la constatazione che in questa poesia le significazioni siano spesso oscure, meglio dire “non sempre usuali” dove la significazione non appare diretta e omologante;“La stanchezza della specie” è una delle migliori pubblicazioni di poesia degli ultimi anni.
Il giudizio di Maurizio Cucchi (su Lo Specchio, il supplemento settimanale del quotidiano La Stampa) è il seguente: "Autore pugliese di 53 anni, Vittorino Curci, già vincitore di un Premio Montale per l’inedito, pubblica ora il suo libro più ricco e maturo. Lirico raffinato e colto, ironico e sottile, malinconico ma anche vitale, sempre misurato nello stile, trova diverse soluzioni interessanti, e soprattutto nelle compatte prose poetiche, che alterna a componimenti in versi di vario stile e tono". Giudizio che condivido pienamente. "La stanchezza della specie" è un libro notevole. Il migliore, di poesia, che ho letto negli ultimi tempi.
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