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La squadra spezzata. L'Aranycsapat di Puskás e la rivoluzione ungherese del 1956 - Luigi Bolognini - copertina
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La squadra spezzata. L'Aranycsapat di Puskás e la rivoluzione ungherese del 1956 - Luigi Bolognini - copertina

Descrizione


La sottile linea rossa che lega l'Aranycsapat (squadra d'oro), la Nazionale ungherese di Puskás e Hidegkuti, con la rivoluzione del 1956, repressa dall'Unione Sovietica con i carri armati. Quella squadra, come la Honvéd, il club di Budapest in cui militano Puskàs e Bozsik, è l'ambasciatrice del Paese nel mondo, macina gol e spettacolo e viene acclamata ovunque. E regala bellezza e gioia agli ungheresi, oppressi da un regime grigio e sanguinano, gli dà la speranza di un futuro diverso. Il giovanissimo Gábor, fanatico di Puskás, vive i trionfi alle Olimpiadi e contro l'Inghilterra come il segno che il comunismo, di cui è un convinto seguace, sia destinato a vincere. Ma la sconfitta nella finale della Coppa Rimet del 1954 (l'unica partita persa dall'Aranycsapat su 50 tra il 1950 e il 1956) manda in frantumi i suoi sogni e quelli di un intero Paese: sparite le speranze, resta solo una realtà fatta di miseria. La delusione serve a farlo riflettere e mettere in dubbio tutto quello in cui credeva. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppia la sommossa contro la dittatura comunista, il sedicenne Gábor perde ogni punto di riferimento: approva la rivolta, ma si sente sempre socialista. E lotta per creare un socialismo nuovo, democratico e liberale. Fino a quando i carri armati sovietici invadono Budapest e soffocano nel sangue la rivoluzione.
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Dettagli

2007
1 gennaio 2007
149 p., Brossura
9788860410955

Valutazioni e recensioni

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roberto cocchis
Recensioni: 5/5

Non occorre neanche essere tifosi o intenditori di pallone per apprezzare un libro così. E' una vera storia avvincente, sovrapposta a uno struggente "romanzo di formazione". Una lettura soprattutto per giovani, purché siano giovani esigenti.

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Christian Luongo
Recensioni: 2/5

Ho appena terminato di leggere il libro di Bolognini e confesso che sono rimasto alquanto deluso. Sulla falsariga di una sorta di "norma deontologica" che accomuna troppi giornalisti ed opinionisti, l'autore non approfondisce nulla nè della portata storica di quella "rivoluzione" (?) nè dell'aspetto sportivo prediligendo una stesura che lo lascia "a bassa quota e in superficie". Oltremodo forzata, inoltre, mi appare la stretta correlazione tra la delusione patita ai mondiali del '54 con gli eventi che incendieranno Budapest solamente due anni dopo quasi a suggerire che una affermazione dell' Aranycsapat, in quella rassegna continentale, avrebbe potuto mutare il corso della storia manco il popolo ungherese fosse costituito, nella stragrande maggioranza, da una moltitudine di cerebrolesi. Così come troppo manichea mi appare la descrizione di quegli eventi poichè non si fa menzione alcuna del ruolo di detonatore che svolsero i servizi segreti occidentali per cui ad una ortodossa lettura filosovietica - ampiamente trattata nel libro e che coinvolse troppi esponenti dell'allora PCI - si passa, allegramente direi, ad una parimenti ortodossa lettura di matrice filodemocratica e occidentale. Il libro, inoltre, manca di poesia : eppure quella squadra, quel tipo di calcio era "poesia" ed "armonia" ed influenzerà profondamente un certo modo di giocare e di interpretare il calcio che fu mutuato, tra gli altri, anche da Luis Vinicio che disegnò il Napoli dei primi anni '70, più che sulla falsariga dell'Olanda di Crujiff, proprio sulla nazionale magiara con Clerici nel ruolo di Hidegkuti e Braglia e Massa - le vere punte della squadra - nei panni di Kocsis e Czibor. La "scena" finale nella quale Gàbor salta giù dal treno "e corse verso la piazza, verso la rivoluzione, con la maglietta rossa numero 10, pronto come Puskàs a dribblare tutti e tutto, anche il destino" anche se un pò deamicisiana resta, forse, l'immagine più bella - magari non troppo convincente - di tutto il romanzo.

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Antonio
Recensioni: 5/5

Stile struggente alla Darwin Pastorin. Il protagonista Gabor sembra uscito da un libro di Pasolini. Chiaramente la parte documentale per quanto ottima non raggiunge i picchi de "Il romanzo del grande Torino " di Tavella e Ossola, ma ne condivide lo sforzo nel divulgare una altra grande squadra sfortunata. Distrutta così come il Grande Torino da fattori esterni al calcio e non dai propri demeriti. Merita senz'altro il massimo dei voti

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Recensioni

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Voce della critica

A metà tra romanzo e saggio, il libro Luigi Bolognini, giornalista di "Repubblica", colma una lacuna nella letteratura sportiva italiana che pure in questi anni si è fatta sempre più prolifica. La "squadra spezzata" a cui fa riferimento il titolo è infatti la nazionale ungherese degli anni cinquanta, di cui da noi finora non esisteva alcuna pubblicazione monografica. Frutto di una ricerca fatta in loco, sia negli archivi che percorrendo quelle stesse strade di Budapest dove sono ambientate gran parte delle vicende, la narrazione si alterna alle statistiche e al dato storico praticamente fino alla fine. E se talvolta questa mescolanza crea degli squilibri strutturali, la mano di Bolognini è abbastanza salda da mantenere tutto in equilibrio sul filo della memoria. Compito non sempre facile, se consideriamo che questa memoria assomma in sé una buona dose di ambiguità. Perché i trionfi di una delle migliori squadre di calcio di tutti i tempi non potevano essere considerati solo successi sportivi in sé e per sé ma anche strumento di propaganda, proposti come dimostrazione esemplare del successo dell'ideologia comunista. Tutto questo è visto attraverso gli occhi del piccolo Gabor, che cresce con il mito di Puskas e di una squadra imbattibile e si ritrova invece a fare i conti con ben altri capovolgimenti di fronte. Prima la clamorosa rimonta e conseguente sconfitta nella finale della coppa Rimet a opera della Germania Ovest, e poi l'invasione dei carrarmati russi a Budapest. Del resto, c'è chi sostiene che fu l'imprevista débâcle di quei formidabili giocatori (che, come dice Beccantini nell'introduzione, "offrivano asilo estetico ai cacciatori del bello") a provocare i moti di rivolta che portarono nel 1956 alla repressione del Cremlino. Bolognini preferisce comunque essere lucido fino in fondo, tanto che la sconfitta ai mondiali non sfonda in una dimensione epica, altra, che porterà al dramma di un intero popolo. Il libro si chiude infatti su Gabor che, invece di scappare insieme ai suoi genitori dalla città devastata, preferisce tornare nelle piazze a lottare per una società migliore, non prima però di essersi infilato la maglia numero dieci, quella di Puskas.   Roberto Canella

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La recensione di IBS

È il secondo libro di Luigi Bolognini, che nel 2003 aveva esordito – sempre per Limina – con Gli eroi son tutti giovani e belli, una galleria di ritratti di atleti dei decenni passati, come Ottolina, Bagnoli, Missoni, Lea Pericoli. In questo romanzo, in finale al premio Bancarella Sport 2008, il giornalista di Repubblica racconta invece sogni e speranze che vengono infranti prima dai calciatori della Germania Ovest, poi dai carri armati sovietici.
"Questo è un bel libro" (Gianni Mura, la Repubblica).

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