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In queste pagine, il grande Autore russo cerca di spiegare non solo l'arte, ma il Creato attraverso le categorie di spazio e tempo, secondo la sua straordinaria concezione della Verità.
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recensione di Bacci, M., L'Indice 1995, n. 6
Dagli anni settanta in poi è stata sempre viva in Italia l'attenzione verso l'opera scientifica del padre Pavel Florenskij, cresciuta di pari passo con la sua riabilitazione e riscoperta in Unione Sovietica. In particolare la casa editrice Adelphi aveva dato alle stampe nel 1977 il saggio "Ikonostas" (tradotto con "Le porte regali. Saggio sull'icona"), con prefazione a cura di Èlemire Zolla. In quel caso si trattava in definitiva di un'opera letteraria in senso stretto, condotta un po' alla maniera del dialogo platonico, e ancor più alla maniera dei mistici persiani, dove idee curiose per il lettore italiano, come la grandiosa metafisica della luce o l'interpretazione dell'iconostasi, venivano discusse ed esposte da due immaginari interlocutori in una forma esotica e raffinata, fitta di paragoni, aneddoti, citazioni dai Santi Padri. Quello che di sostanzialmente ermetico per un lettore sprovveduto si riconosceva in "Le porte regali" può adesso risultare più chiaro dal confronto con il trattato "Lo spazio e il tempo nell'arte" (edito presso la stessa casa editrice), grazie anche alla postfazione della curatrice Nicoletta Mister, che offre una delucidazione piuttosto dettagliata intorno alla personalità e ai momenti più o meno oscuri della biografia dell'autore, ai suoi rapporti con le avanguardie e, in generale, con la cultura sovietica degli anni venti e trenta, alla sua formazione e alla complessa vicenda intellettuale che lo ha portato a occuparsi di diverse branche del sapere quali matematica, geometria, fisica, filosofia, letteratura, teologia e teoria dell'arte.
Nel volume sono raccolti due testi: il primo, intitolato "L'analisi della spazialità e del tempo nelle opere di arte figurativa", è un trattato d'estetica che è il frutto di riflessioni esposte da Florenskij in forma embrionale durante il corso di "Analisi della spazialità nell'opera d'arte" da lui tenuto nell'anno accademico 1923-24 presso gli Ateliers superiori tecnico-artistici di Stato di Mosca: sono appunto i testi delle otto lezioni costituenti il corso, emerse nell'archivio della famiglia Florenskij e ricostruite dai curatori russi (O. Genesaretskij e l'igumeno Andronik) sulla base delle trascrizioni di una studentessa e degli appunti preliminari dello stesso Florenskij con l'aiuto dell'amica Sofija Ogneva, che costituiscono la seconda parte. L'opera cosi congegnata rende possibile al lettore un'analisi approfondita del pensiero e dell'esperienza personale dell'autore, invitandolo a seguire passo per passo i procedimenti mentali che l'hanno condotto all'elaborazione della sua sistematica riflessione sul rapporto tra l'arte figurativa e le coordinate spazio-temporali.Riassumere qui, in poche righe, il senso complessivo del pensiero di Florenskij riuscirebbe soltanto a falsarne l'immagine: annoteremo tuttavia come, rispetto alla poeticità ed ermeticità riscontrata ne "Le porte regali", ci si imbatta qui in un testo dalla limpidezza, almeno all'apparenza, cristallina, che spesso sembra facilmente riducibile a una griglia geometrica in cui torna agevole incasellare concetti e categorie e che, nel suo complesso, appare dominata da ritmi binari e ritmi ternari. Lo spazio dell'esperienza dell'uomo è suddiviso in spazio delle relazioni vitali o tecnica e spazio mentale (filosofia e scienza), tra i quali si pone lo spazio dell'arte: l'arte a sua volta si compone di tre indirizzi diversi per quanto riguarda la capacità di creare uno spazio significante autonomo, vale a dire il teatro (in cui tale capacità è prossima allo zero), la musica e la poesia (in cui la tendenza è al contrario verso la completa autonomia) e infine, in posizione intermedia, l'arte figurativa.
Questa si fonda su due principi antitetici e complementari: al primo, su cui si basa la grafica, sono riconducibili concetti come "senso cinetico", "contorno", "geometria lineare", "tendenza all'attività", "movimento", "volume", "diffusione della sostanza individuale nello spazio"; al secondo, che impregna di sé la pittura, appartengono caratteristiche definite come "senso tattile", "macchia", "tendenza alla passività", "materia", "ambiente" e "spazio circostante le cose". L'alternanza di ritmi binari e ternari ritorna anche nella riflessione intorno alla rappresentazione, che si fonda sull'equilibrio tra composizione (definita "schema dell'unità spaziale dell'opera") e costruzione ("schema dell'unità di ciò che si rappresenta"): la seconda, infatti, costituisce la condizione essenziale dell'applicabilità dell'altra; poiché la realtà "non è passiva", la scelta dell'oggetto da rappresentare non può essere casuale, ma deve orientarsi verso quell'oggetto nella sua totalità e integrità ontologica; sono da rifiutare quindi le "angolazioni" che impoveriscono la conoscenza della realtà, tra le quali è da annoverare la prospettiva.
Giacché l'oggetto fondamentale della figurazione è l'uomo, l'attenzione va incentrata sul volto: e, a questo proposito, Florenskij introduce, ritornando al principio ternario, una distinzione di tipo grammaticale che anticipa analoghe considerazioni dello storico dell'arte Meyer Schapiro: alla frontalità (a cui sono riducibili i concetti di "pienezza", "immobilità", "autotelismo", "intelletto") corrisponde la prima persona ("Io"), alla visione di profilo ("movimento", "proiezione verso l'esterno", "volontà", "azione") il Tu, al taglio di tre quarti ("posizione intermedia", "tensione", "emozione", "sentimento") la terza persona ("Egli"). Il momento della sintesi si ha con l'introduzione della quarta coordinata, quella temporale: essa si manifesta nella rappresentazione attraverso la presentazione del soggetto nel momento della sua massima fioritura vitale o acme, vale a dire nella sua "idea" platonica o nell'aspetto del suo corpo risorto. Infine, nell'opera d'arte si attua la fusione completa anche della dicotomia spazio-tempo, col porre in equilibrio, nella rappresentazione, gli "elementi di quiete" (su cui l'occhio si riposa) e "gli elementi di salto" (che separano gli elementi di quiete e vengono trascurati dall'occhio, ma che per ciò stesso conferiscono un andamento ritmico all'opera e "danno forma al tempo").
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