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Si sa, è Baudelaire - con Leopardi - il dèmone di Antonio Prete. Non solo il Baudelaire delle Fleurs du mal (che sta per pubblicare in una nuova traduzione, lavoro di una vita); anche, e qui soprattutto, quello che nei Salons rivoluziona la scrittura critica: la critica d'arte moderna è, si può dire, una sua invenzione; ma è ai suoi criteri più generali che Prete esplicitamente s'ispira (contro quelli che chiama "funzionari dell'oggettività"): " la critique doit être partiale, passionée, politique, c'est-à-dire faite à un point de vue exclusif, mais au point de vue qui ouvre le plus d'horizons ". La dichiarazione d'intenti si legge nel più ampio dei saggi, Sulla critica, scritto per l'occasione ("d'occasione" - nel senso più nobile: legato all'incontro, all'amicizia, alla condivisione - è tutta la silloge, voluta da Piero Manni e Anna Grazia D'Oria per le feste tributate allÆenfant du pays, questa primavera, dalla città di Lecce e dal Castello di Copertino: un seminario e una mostra - con artisti come Helmut Dirchnaier e Jean-Paul Philippe - sull'autore di Prosodia della natura e dellÆImperfezione della luna) ad accompagnare consimili riflessioni apparse, su varie sedi, negli ultimi anni.
Conversazione è la parola - il concetto - che più spesso ricorre. La Notizia che mette capo al libro lo definisce "studio per un autoritratto in veste di lettore" (in luogo del crociano "contributo alla critica di me stesso"); ma chi conosce lÆunderstatement del personaggio può intuire con quanta misura faccia qui capolino lo spettro dell'Io. Se appare, è in effetti solo per riportare incontri con maestri - mèntori, preferisce definirli - che ha avuto la fortuna di conoscere (primo fra tutti Edmond Jabès). Più in generale s'accampa il modello della conversazione (quasi il contrario della lezione, cioè), magari perduti "in una sorta di immensa fantastica biblioteca" (la biblioteca fantastica - come quella del Conte Giacomo all'ombra gravosa di quella del Conte Monaldo - è da sempre fra i luoghi d'elezione di Prete). Altri poeti amati, come Osip Mandel'tam e René Char, hanno usato questo termine: con sfumature diverse, certo, comunque rinviando al dialogo fra testo e lettore, nonché fra un testo e l'altro.
Originalmente consonando con altre "punte" della teoria letteraria contemporanea, dunque, Prete muove dai suoi luoghi d'origine (l'Heidegger interprete di Hölderlin) per piegare decisamente verso un modello di critica come dialogo (o relazione). La critica come arte dei rapporti fra i propri oggetti - la comparatistica, insegnata e ripensata dalle radici; ma già lo Zibaldone pregiava la "facoltà di scoprire e conoscere i rapporti, di legare insieme i particolari, e di generalizzare" -: sapere nomade che (con Deleuze) insegna a "porsi sempre nella condizione, e nello sguardo, dello straniero". Ma la critica, sempre, come dialogo col testo: incontro - relazione - fra il sistema mentale emotivo e linguistico dell'autore, e quello dell'interprete. Dove, come nella traduzione (metafora, ma vero e proprio modello epistemologico, cui spesso indulge l'autore dellÆOspitalità della lingua), "è la lingua del traduttore (...) ad essere coinvolta e sospinta verso un'attivazione inventiva, così nell'atto dell'interpretare è la lingua dell'interprete, con quello ch'essa ha di più proprio, ad essere chiamata al massimo di responsabilità". Un'appuntita riflessione, dunque, sullo stile dell'interpretazione: in senso lato ("stile" come sistema di parametri, e limiti, dell'interpretazione stessa; deontologia professionale, quasi) ma anche in senso stretto (stile - "autorialità", di là da ogni narcisismo, come riconoscibilità, e dunque responsabilità - della scrittura critica).
Più volte Prete chiama in causa il modello relazionale per eccellenza, la relazione amorosa: "gioco in cui l'identità di ciascuno non venga attenuata, ma resista, anzi sia accresciuta". Ma non si pensi a un'affettuosa casistica di squisitezze "innamorate", a un albo dolciastro di tenerezze e cordialità; men che meno a un manifesto remissivo, irenicamente consolatorio. Infatti dialogica è pure, forse soprattutto, la relazione che si dà all'acme della tensione e del coinvolgimento conflittuale: quando - diceva Char di Rimbaud - il testo spezza, mette in crisi chi lo legge. In definitiva, dunque, la critica come esperienza: anche "esperienza (...) del limite e della rottura (...) dell'alterità, della non trasparenza dell'altro". Anche in queste forme, diceva Leopardi facendo sua una frase di Sterne, la poesia "aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita". È quanto fa - dovrebbe fare -, pure, la critica.
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