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Non ha avuto bisogno di ricorrere alle arrampicate su specchio di cui parla Raffaele Manica, Enzo Golino, per raccogliere questi pezzi: se è vero che il titolo Sottotiro apparteneva già a una rubrica da lui tenuta - dall'88 al '92 - sul mensile "Millelibri". L'obiettivo era prendere in castagna non i soliti pseudoautori (gli sventurati coi quali hanno sempre maramaldeggiato, a certificare famosi e fantomatici attributi, i recensori di dozzina), ma i "big" (e qui ce ne sono di ormai passati agli altari della storia letteraria - da Bufalino a Manganelli, da Ceronetti a Balestrini, da Malerba a Consolo...).
A questa scommessa Golino - spirito eminentemente curioso - ne ha aggiunta un'altra: far replicare gli stroncati in una paginetta in calce alla recensione d'allora. Dopo qualche vicissitudine, l'idea si realizza solo ora. E se il ritardo di dieci anni ci sottrae per il più triste dei motivi talune repliche che assai avrebbero incuriosito (poche altre mancano per sdegnosa - o imbarazzata - ricusa da parte degli interessati), d'altro canto consente di misurare le distanze nel frattempo percorse, dall'autore come dal critico. È il caso di Giuseppe Pontiggia: il quale, strenuo riscrittore di se stesso, dichiara sereno di aver poi "corretto il romanzo [ La grande sera ], per liberarlo, dove possibile, dai difetti". È l'episodio meglio realizzato di un ideale dialogico che, presupposto essenziale della critica, così di rado si trova realizzato.
Non è il luogo per informare i pochi interessati dei casi di mia concordanza con Golino (numerosi, spesso salutati da sadici applausi) o dei disaccordi (pochi, ma accorati). Bensì per sottolineare l'orecchio stilistico del lettore (a giorno nell'accortezza dei campioni di citazione, attendibili per condensazione e sineddoche del tutto; e, direi soprattutto, nel rilievo dato - "saranno minuzie", finge di giustificarsi accigliato Golino - a sciattezze e cadute di tono: mende che spesso funzionano, riguardo ai testi, come tic rivelatorî...), gli umori contestuali del Kulturkritik (si veda la stigmatizzazione del "gusto antiquariale" nei romanzi storici d'evasione, voga tutt'altro che esauritasi), il velen dell'argomento che s'addensa in sede di definizione (e in punta di metafora) dello scrittore alla seconda: "nutella sentimentale" (Starnone), "dal pus alla panna montata" (Ceronetti), "narrativa anoressica" (Capriolo), "una Lourdes dei sentimenti" (quella cui si avviava Lodoli già con I fannulloni - per poi puntualmente raggiungerla).
Ne esce un modello, prima che di efficienza, di sostanziale onestà. Quella che, nel mestiere di cui si parla, deve poter passare anche per le "minuzie". Bestia sempre più rara, di fatto, il critico che fra i propri strumenti annovera, in luogo della clava, la lente d'ingrandimento. Roba da parco nazionale.
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