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Dal titolo già si evince che, con il sistema privo di mezze misure delle stelle, tocca scegliere tra un 3 ed un 4, ma il voto più equo è il 3.5 Come ci ricorda la copertina, Supino è la mente dietro la pagina L'analisi ignorante (pagina satirico-calcistica, prevalentemente concentrata sul Napoli), ma il libro si discosta dallo spirito caciarone della pagina, o quanto meno la verve pungente del suo autore è tenuta a freno a beneficio della storia. La storia, o meglio le storie, sono uno spaccato di realtà della generazione dei nati negli anni '80, una generazione a cui viene cambiata ciclicamente l'etichetta (l'ultima in cui mi sono imbattuta è xennial) e a cui si chiede sempre di rendere conto dei risultati, o di quella che è percepita come assenza di risultati. Nelle storie di Luciano, Sara, Andrea, Mario e Rossella, qualsiasi nato tra il '75 e l’89 riesce a ritrovare aspetti dei propri coetanei, delle disavventure lavorative e di come esse invadono il resto dell’esistenza, creando un clima di costante incompletezza. Le generazioni precedenti e le successive invece trovano tra le pagine di questo libro un input a vedere quanto anche quelle che sembravano certezze, quale la professione di avvocato, non sono più i porti sicuri che erano stati indicati. La prosa spigliata e le situazioni tragicomiche compensano qualche pecca narrativa (Mario e Rossella, forse volutamente, vengono smarriti nel finale), ma tutto sommato buona la prima.
Antonio Supino tratteggia un ritratto impietoso della situazione lavorativa della generazione Y. Lo fa con un'ironia dissacrante e amara insieme, quella che lo ha fatto conosce al suo pubblico sulla pagina Facebook "L'analisi Ignorante" - anche se leggermente mitigata, dato appunto il peso dell'argomento. E in queste storie, nelle vicissitudini di questi ragazzi, è impossibile non riconoscere le storie nostre, dei nostri amici, di tutti quelli che in questo sogno ci hanno creduto. Questo romanzo merita la lettura, merita che giri e che se ne parli. Perché la situazione di questa generazione non è cambiata e l'argomento sta andando sotto silenzio. Quantomeno per trarne forza, quella forza che viene dal riconoscere nelle storie degli altri la propria, e capire di non essere solo in questo oceano di guai. Non è certo un pensiero consolatorio, ma quando si tocca il fondo una spinta ce la si deve dare, no?
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