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E'' sufficiente leggere questo bel libro per capire cosa è successo a Giulio Regeni e cosa sta succedendo a Patrick Zaki nelle carceri di questo democratico paese. Il libro comunque è un bel libro.
Il libro mi appare come un capolavoro soprattutto perché, mentre sembra parlarci solo dellʼEgitto di un circoscritto arco cronologico, in realtà ci mette in guardia sulla fragilità dei valori democratici di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Egitto, dieci anni fa. Nelle alte sfere la religione è ridotta in genere a pura pratica formalistica: in tal modo si consente ai potenti di eluderne costantemente ed a piacimento lo spirito più genuino e di mantenere intatta la propria rispettabilità sociale, quando invece agli umili può bastare la minima «mancanza», o presunta tale, per perdere la reputazione, la libertà e, talvolta, la vita. Le forze di polizia e lʼesercito, cui la magistratura perdona qualunque eccesso, sono schierati non a tutela del popolo, ma per mantenerne il totale asservimento. Le libertà dʼespressione, di dissenso e di associazione sono una pura chimera. Lʼopinione pubblica è facilmente manipolabile dai media, molti dei quali collusi col potere e capaci di operare una sistematica distorsione delle informazioni, allʼoccorrenza dipingendo le vittime come carnefici (e viceversa). I diritti delle donne, specie se si tratta di persone ininfluenti, sono regolarmente calpestati: sovente anche da parte di altre donne, che magari godono della protezione di uomini illustri. Il romanzo di al-Aswani spiega forse meglio di un buon saggio perché in Egitto la «primavera araba» è fallita e perché non poteva non fallire. La sintesi è offerta dal mirabile penultimo capitolo, in cui Asmaʼ Zannati, giovane professoressa di inglese e fervente progressista, getta la spugna e decide di migrare in Europa, scrivendo al proprio amato: «La nostra grandiosa rivoluzione è stata [...] un unico fiore, insolito e bellissimo, spuntato in una palude, [...] unʼimprovvisa mutazione del DNA egiziano, subito rientrata. E noi ci siamo trovati fuori contesto, messi al bando; nessuno ci voleva, nessuno ha simpatizzato con noi, hanno deciso che eravamo la causa di tutte le loro disgrazie».
La fortuna di vivere in un Paese democratico di un Continente democratico è grande, e bisognerebbe ricordaunrsene sempre. Come bisognerebbe non dimenticare mai che si tratta appunto di una fortuna, non di merito. Questo libro aiuta a riflettere su questo tema ( ed altro) con narrazione incalzante, quasi da cronista più che da romanzo, descrivendo un Egitto agghiacciante con dolore sincero e mostrando gli effetti terribili dell'assenza di democrazia. Un contributo letterario significativo anche per capire il fallimento delle " primavere" nordafricane.
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