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Autorevole studioso di letteratura italiana, Ugo Dotti torna alla narrativa dopo venticinque anni con una raccolta di racconti dedicata "alla memoria di Raffaele Crovi", l'intellettuale-editore che nella stessa Aragno ha concluso una straordinaria carriera personale e professionale.
Nei racconti di Dotti colpisce anzitutto una scrittura colta, raffinata, anche ironica, intessuta di richiami ai classici e ai moderni italiani e stranieri: Machiavelli e Guicciardini, Flaubert e Proust, Cecov e Dostoevskij, Joyce e Borges. La pregnanza culturale di questi richiami e la voluta indefinitezza delle cornici e delle ambientazioni storiche, tra Milano e altri luoghi nel corso del Novecento, contribuiscono a rendere ancora più emblematiche e allusive le vicende private e pubbliche, di amore e di morte, via via narrate. Che si possono riassumere sommariamente così: un delitto incolpevole al limite della guerra, un'esistenza femminile frustrata, un fratello odiosamato, un padre sconosciuto, i destini diversi e tuttavia non estranei di un giurato e di un imputato, il tortuoso processo mentale di un intellettuale, i volti ambigui della "libertà" nella carriera di un vile conformista, le imprevedibili esperienze di un lettore, i fallimentari bilanci sentimentali e professionali di un pensionato, le possibili implicazioni (forse motivazioni) di un suicida illustre, Pavese, e così via.
I problemi sottesi a queste storie, apparentemente scarne, invitano a diverse chiavi di lettura, che si alternano o intrecciano fra loro: la sottile capacità di analizzare e sciogliere complicati grovigli psicologici e sentimentali, o la rappresentazione critica e il giudizio morale su uno spaccato sociale borghese, o la tensione tra realtà vissuta e realtà scritta, che ora viene teorizzata esplicitamente dallo scrittore, ora affiora implicitamente dai suoi racconti, in una serie di citazioni che si rifrangono come in un luminoso prisma critico-interpretativo.
Eccone due esempi: "Il piacere dello scrivere (
), non diversamente da quello del leggere, consiste nel far segretamente rivivere ciò che del passato, nostro o altrui, pareva ormai essersi definitivamente consunto, (
) e farcelo invece sentire ancora presente, da noi ritradotto nonostante gli anni trascorsi, le tante delusioni esperite e l'infaticabile miseria degli uomini indizio certo che la nostra vita interiore, l'unica cosa che nell'assetto attuale del mondo possa dirsi davvero nostra, non si è ancora spenta". "Il dono insomma che il tempo e la memoria ci offrono è quello di trasformare l'immediatezza del presente (
) in un misterioso deposito che, continuando a vivere una sua propria esistenza dentro di noi, mentre ci impoverisce di ciò che fummo, ci arricchisce di quanto saremo".
Si delinea così un'idea di racconto come passaggio dalla memoria del passato alla vita presente e a una prospettiva futura, come recupero di esperienze tanto vulnerabili quanto preziose. Un'idea di racconto che, nascendo da una visione sconsolata del mondo e della condizione umana, finisce per superarla, caricandosi di potenzialità costruttive, al di là di sterili nostalgie e contingenze effimere. Gian Carlo Ferretti
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