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Il vortice della danza, la danza di un satiro, potrebbe coinvolgere ogni verso, ogni musicalità, nel ritmo dei frammenti che scherzosamente o con irrequietezza si susseguono pagina dopo pagina. Anche il sogno ha un suo respiro, una sua ebbrezza, celata fra il riverbero del bosco, quando il sole tenta di sfiorare con i suoi raggi i rami che ondeggiano al vento, mentre l'eco delle illusioni rimbalza di zolla in zolla, o scivola nel dormiveglia. D'Agostino cerca il gioco dei simboli, cerca il momento delle metafore, per raccontare una favola richiusa in un viaggio, al di là della solitudine e delle prigionie. L'ampiezza competitiva del "verso" sembra orientata verso la verifica dello scritto, nei moduli attenti del diario, che non affonda nell'esistenziale, ma vive come di uno implicito spazio del sublime.
E' davvero una sensazione notturna e danzante quella che si assapora nei versi di Pierluigi D'Agostino, tra effluvi raccolti da fiumi, respiri, onde, sogni. La sua giovanissima testimonianza, in questa opera d'esordio, incontra già decifrazioni antiche, assorbite dai segni di simbolismi capaci di evocare seduzioni che ricordano i versi folgoranti di Mallarmé.Un recupero del tutto novecentesco di elementi che hanno caratterizzato il mitomodernismo dei primi anni novanta, nella corrente guidata da Giuseppe Conte? O forse un registro definito da una sinestesia complice ed ammiccante, alla trasformazione devota? Incombe un pericolo, un presagio che D'Agostino accompagna a ciò che rimane del tema del viaggio iniziatico e della solitudine inconciliabile. "Il flutto invoca il canto sirenico del futuro,/potrà racchiudere la perla del viaggio/sulla sua lingua carnosa e avida del sapore/di mondi e segni e pietre sepolcrali."
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