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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2020
Romanzo di amore e morte, o meglio di amore e di azzeramento della morte, Sogni di Mevlidò è un libro sontuoso che dispiega l'intero armamentario visivo del Volodine più «dark» e che regala pagine di uno spettacolare onirismo degno di Max Ernst.
«Volodine, di libro in libro, ha immaginato un’intera letteratura post esotica, la quale include i suoi lavori e quelli dei suoi eteronimi, ed esiste all’interno del mondo in cui questi sono ambientati» - Vanni Santoni, La Lettura
«Questo libro di Volodine, virtuoso della catastrofe, risuona come una risata nel bel mezzo del disastro. Senza dubbio perché è prima di tutto un vero romanzo d'amore» – Le Monde
Mevlidò è un poliziotto alla sbando incaricato dagli Organi, le supreme Autorità, di infiltrarsi tra gli abitanti di un immenso ghetto urbano, Pollaio Quattro, per studiarne le abitudini e prevenire le azioni criminose. I rapporti estremamente ambigui del poliziotto con gli abitanti del ghetto, la sua pericolosa deriva psichica verso stati di non-vita e di sub-morte, il suo latente doppiogioco, lo rendono sospetto agli Organi ma anche ai derelitti che dovrebbe controllare. Le atmosfere notturne, il caldo tropicale, la presenza asfissiante degli insetti e degli uccelli, la delazione, gli interrogatori, i ricordi, l'esplosione dello spazio-tempo sono, accanto all'investigatore, i veri protagonisti del racconto: Mevlidò è l'antieroe volodiniano per eccellenza, sorta di Untermensch ossessionato da questioni etico-amorose, punto di passaggio tra sotto e sovra-mondi, tra umani e animali, tra luce e ombra.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"La vibrazione continuò a prolungarsi, la musica delle fiamme non si chetò, la melodia della distruzione e poi il viaggio che, sia come sia, abita in noi, da sempre, e che al momento del sonno ciascuno confonde con la propria esistenza o con la morte". Altro gioiello fantastico di uno dei migliori scrittori in circolazione, una distopia non di maniera, non di quelle alla moda, ma di qualità contenutistica, si sorride e ci si commuove, attorno una atmosfera onirica e magica, la decadanza sociale e politica, e personaggi che davvero sembrano ispirati dai folli pennelli di Max Ernst o dai fratelli de Chirico. Anche se non presentato come autore weird, Volodine rappresenta l'essenza stessa di questo tipo di narrativa, nella sua migliore forma contemporanea, nelle idee, nell'intensita delle atmosfere, nel sense of wonder o nella tipologia delle sue trame, il non spiegare sempre e comunque i misteri delle sue storie, l'indeterminatezza, la perduta arte del dire e non dire, la qualità estetica. Chi si accosterà per la prima volta alle sue opere, in primis Terminus radioso, noterà la notevole differenza qualitativa, rispetto a tanti altri autori contemporanei del weird e del fantastico (spesso anglofono o i loro epigoni italiani), idolatrati oscenamente da critica (?) e lettori.
Parlare di Sogni di Mevlidò, ma in generale dei romanzi di Antoine Volodine, è molto difficile perché la sua scrittura è anche qui labirintica e la trama è scomposta in tutto il romanzo, pieno com’è di salti temporali, salti spaziali, digressioni difficilmente collocabili nell’intreccio. Anche se di difficile comprensione e interpretazione, leggere Sogni di Mevlidò è comunque un’esperienza che mi sento di consigliare. Prima di tutto perché Volodine ha la straordinaria capacità di essere leggibile e godibile anche quando si fatica a capire cosa stia precisamente raccontando. Questo perché scrive bene, benissimo, e le sue storie sono piene di colpi di genio, di immagini visionarie di una potenza ineguagliabile. Da cui forse non tutti traiamo le stesse sensazioni e riflessioni, ma è impossibile rimanere impassibili di fronte a tanta potenza evocativa. Più che uno scrittore si direbbe che è uno sciamano che vi apre una finestra perché possiate dare uno sguardo rapido a una dimensione parallela: se futuro prossimo o realtà alternativa però è difficile dirlo. Volodine, da buon sciamano, ha infatti il potere di creare mondi solo accennandoli. Mentre altri scrittori quando fanno world building vi bombardano di nozioni su storia, usi e costumi, politica e religioni, i mondi dell’autore francese stanno in piedi senza che lui vi spieghi niente. E sì, sono tutti mondi inospitali, tanto per il lettore quanto per i personaggi del romanzo, dove l’umanità è costretta a sopravvivere più che a vivere, dove realtà e sogno si mescolano continuamente e il confine tra la vita e la morte è un velo sottile che lascia trasparire immagini da una parte all’altra. Se leggendo Terminus Radioso avevo scoperto un autore formidabile che però, per quanto ne sapevo, poteva anche aver semplicemente indovinato un romanzo, con Sogni di Mevlidò riconferma tutto quanto di bello mi ha trasmesso la volta precedente.
Recensioni
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Antoine Volodine, il coraggio dopo la disfatta
di Barbara Julieta Bellini
Tutte le guerre sono finite e perse. La rivoluzione mondiale è fallita. Il mondo è ridotto a una rovina calda e collosa, dove i giorni si susseguono sempre uguali a se stessi. Nel centro, a Ulang-Ulan, gli «eterni vincitori» sono isolati dall’«oceano di miseria» che sommerge i perdenti, ovunque, dopo il crollo di ogni utopia. Ogni tanto dei terroristi, appartenenti a gruppi di cui nessuno conosce «né il nome né il programma», organizzano attentati «contro i tronfi miliardari», senza sperare di cambiare alcunché.
Siamo in un futuro indefinito, ma non troppo lontano; forse in Asia, ma poco importa dove di preciso. Antoine Volodine c’immerge, col suo romanzo Sogni di Mevlidò, in una distopia degna di Philip K. Dick. Ma questo misterioso autore francese, di cui Volodine è solo lo pseudonimo più noto e neppure l’anno di nascita è certo, non vuole essere incasellato in categorie altrui: sarebbero sprecati i rinvii alla fantascienza o al realismo magico, dal momento che l’autore si è inventato un genere tutto per sé, il post-esotismo. Accettiamo dunque questa richiesta d’individualità e vediamo cosa rende unico il suo romanzo, pubblicato in Francia più di dieci anni fa.
La trama, se ridotta ai minimi termini, è semplice: Mevlidò è un poliziotto infiltrato in un quartiere malfamato, Pollaio Quattro, ma simpatizza coi reietti che dovrebbe sorvegliare; spesso fatica a distinguere i sogni dalla realtà ed è ossessionato da visioni legate a traumi del passato, in particolare all’assassinio della compagna Verena Becker; vive con Maleeya Bayarlag, una donna sull’orlo della follia, pure traumatizzata dalla perdita del compagno e a cui lo lega un «patto di reciproco affetto». Questa storia, stipata di elementi assurdi (abbondano i polli mutanti, gli attentati alla luna e i corvi parlanti), assume un nuovo significato a partire dalla parte terza, quando si scopre che Mevlidò, in realtà, è stato inviato in missione dagli Organi, entità superiore e preoccupata dal destino di quella «detestabile genia che aveva sistematicamente tradito tutte le speranze riposte in essa». Mevlidò dovrà raccogliere informazioni per capire come l’uomo è arrivato a tanta barbarie e «come fare a indurre una fine un po’ più serena per l’umanità»: perciò si mescolerà agli «ominidi», diventerà uno di loro, soffrirà la loro sorte lasciandosi guidare sia dalle sue confuse visioni, che gli rammentano l’addestramento degli Organi, sia dall’amore sofferto per Verena. Lasciamo ai lettori la curiosità di seguirlo nel suo percorso, avvertendoli che sarà tenebroso e li porterà lungo vicoli fetenti e pericolosi, tra cadaveri, scarafaggi e vecchie bolsceviche.
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