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In che senso ed entro quali limiti il pensiero di Husserl può essere considerato un “idealismo trascendentale”, come egli stesso lo ha definito e come viene unanimemente interpretato?
Il libro tenta di rispondere a questa domanda utilizzando come filo conduttore la critica che Husserl rivolge a Kant e ponendo in primo piano quella che è forse l’idea più originale elaborata da Husserl, in quanto rende possibile una fondazione a priori, benché di stampo non trascendentalistico, dell’oggettività: l’idea fenomenologica della legalità contenutistica dell’esperienza. Di tale idea – che si esprime nelle nozioni di “a priori materiale”, “forma sensibile di unità" e "sintesi passiva” – vengono ricostruite l’evoluzione storica e le implicazioni teoretiche, mostrando che essa è alla base sia dell’analisi fenomenologica dell’esperienza sia del rifiuto husserliano del metodo regressivo della deduzione trascendentale, e che conduce inoltre Husserl a superare il dualismo empiristico-kantiano tra forma e contenuto. Parallelamente, si prendono in considerazione anche gli elementi del pensiero husserliano che sono in contrasto con questa impostazione oggettivistica, mettendo in luce però che essi vanno ricondotti all’eredità di Brentano, più che all’influsso di Kant e del neokantismo.
La conclusione a cui si perviene è che l’idealismo fenomenologico non può essere assimilato a quello trascendentale di tradizione kantiana, poiché non riconduce la struttura dell’esperienza alla soggettività, ma alla peculiarità dei contenuti sensibili, operando così un vero e proprio rovesciamento della “rivoluzione copernicana” di Kant.
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