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Negli anni della Resistenza e del dopoguerra, in un'Italia ancora chiusa nel guscio del provincialismo di regime e che si appresta allo schematismo delle contrapposizioni ideologiche, un giovane intellettuale di belle speranze e di incontenibile vivacità approda in una Torino «coperta di polvere e di sangue», e s'imbatte per caso nell'entourage di casa Einaudi. Promosso sul campo da Cesare Pavese, si fa traduttore e interprete della migliore cultura sociologica americana. Il giovanotto spende bene i suoi anni torinesi, né s'intimorisce di fronte agli strali che gli scaglia addosso il «mostro sacro» Benedetto Croce, irato contro le pretese della pseudoscienza sociologica.Dalla collaborazione con un altro grande della cultura italiana, Nicola Abbagnano, nascono allora i «Quaderni di Sociologia». E il cerchio si allarga ancora. Nella casa dei Levi a Torino avviene l'incontro decisivo, l'impatto con la personalità dirompente di Adriano Olivetti. Ne nasce la grande esperienza del laboratorio olivettiano di Ivrea, in cui fabbrica e servizi sociali, città e territorio si integrano a mostrare la forza realizzatrice dell'utopia. E quando, agli inizi degli anni sessanta, il sogno di Ivrea fatalmente si infrangerà, sarà Roma con le sue borgate e la sua umanità ai margini il nuovo scenario dell'inarrestabile volontà di ricerca. A distanza di cinquant'anni Franco Ferrarotti ripercorre in quest'autobiografia intellettuale lucida e pungente alcuni dei luoghi fisici e mentali del suo itinerario di vita e di lavoro, che lo ha portato ad essere incontestabilmente il padre nobile - e tuttora l'enfant terrible - della sociologia italiana contemporanea.
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