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Ogni volta che finisco di leggere un libro di Jeremy Rifkin sono colto da un senso di vuoto: mi sembra di avere letto una quantità di utopie di dubbia realizzazione. Mi è successo con "La fine del lavoro"', poi con "L'era dell'accesso" ed ora questa sensazione si conferma con quest'ultimo "La società a costo marginale zero". Sarà che gli americani sono forse più manipolabili di noi smaliziati italiani, resi più diffidenti dalla nostra storia di dominazioni straniere o sarà che Rifkin è bravissimo a vendere la sua merce, come attestano i suoi molti prestigiosi incarichi. Sentite come immagina il futuro in quest'ultimo lavoro: "La fondamentale infrastruttura intelligente è composta dall'intreccio di tre Internet: un'Internet delle comunicazioni, un'Internet dell'energia e un'Internet della logistica. Collegate in un unico sistema interattivo - l'Internet delle cose - queste tre reti generano un flusso di big data sulle varie attività della società e forniscono il sistema nervoso cognitivo e il mezzo fisico per integrare l'intero genere umano in un Commons globale e interconnesso che si estende attraverso l'intera società." Fortunatamente, riconosce che "il cammino verso un'economia dell'abbondanza è però ingombro di ostacoli che potrebbero ritardare, o addirittura far naufragare, l'era collaborativa". Chi vivrà vedrà!
Un libro che viaggia ai confini di un sogno di mondi difficilmente realizzabili, dimentichi della natura dell'uomo. Basta vedere come avevano incominciato Steve Jobs, Jeff Bezos e Bill Gates, prima di diventare ferocemente monopolisti. Il concetto di base è semplice, e come in tutti i libri di Rifkin si poteva scrivere tutto in 150 pagine. Molta accademia, ragionamenti da salotto e pochissimo realismo.
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