La ripresa degli studi sul Settecento in Italia è stata negli ultimi tempi particolarmente vivace. Un posto significativo vi riveste l'esame dei rapporti tra il nostro paese e l'Europa, e non solo per via del rinnovato interesse per il Grand Tour o per il fenomeno dell'esportazione di opere d'arte antiche e moderne. Il volume che Giovanna Perini Folesani ha dedicato al taccuino di disegni di Joshua Reynolds (Londra, The British Museum, "210 a 10") eseguito durante il viaggio in Italia che anche il grande e polemico artista, come tanti suoi conterranei, effettuò sostando a Roma per due anni (1750-1752) includendovi una tappa in Toscana, è un contributo di grande utilità, che incuriosisce e stimola. Non è il primo degli studi che l'autrice dedica a Reynolds e all'ambiente inglese in generale, temi che padroneggia con sicurezza muovendosi con competenza e agio nelle fonti e nella cospicua bibliografia. Il taccuino "toscano" si inserisce pertanto in un discorso ad ampio raggio che certamente proseguirà con altri apporti di qualità. Oltre a precisare la data della sosta in Toscana di Reynolds, collocata al momento del ritorno in patria e quindi dopo il biennio romano, Perini analizza dapprima i dati esteriori (completezza, consistenza, storia e provenienza) dell'importante reperto che si distingue, come viene esaurientemente dimostrato tramite l'acuto esame dei contenuti, dai consueti materiali di artisti. Osserva infatti che "se per un italiano può essere particolarmente sollecitante e perfino gratificante identificare, nei taccuini come nei dipinti di Reynolds, le fonti iconografiche, perché esse sono prevalentemente italiane, il vero problema ermeneutico, però, è il loro impiego, l'utilizzazione cui sono sottoposte, rispetto al che l'identificazione della fonte primaria (italiana o meno) non è sempre così importante o meglio, quando lo è, lo è in sensi impreveduti ed inattesi". La cospicua introduzione è un vero e proprio saggio di circa 170 pagine e con un ricchissimo apparato di note, nel quale il taccuino (il solo dedicato alla Toscana: oltre a questo infatti, pochi altri appunti di ambito fiorentino sono contenuti in quello del John Soane's Museum) viene contestualizzato rispetto al percorso di Reynolds, alla sua produzione e alla sua epoca. Che l'occhio di Reynolds si posasse sulla realtà artistica italiana in modo totalmente differente da quella di tanti altri viaggiatori (artisti, eruditi o semplici "amateurs") è dimostrato dalla feroce ironia che informa due sue testimonianze pittoriche del suo soggiorno, la Parodia della Scuola d'Atene o ancor più il dipinto nel quale sono messi alla berlina i Learned Milordi (Dublino, The National Gallery of Ireland), in sintonia con la causticità di I cinque ordini di parrucche incisi da Hogarth; in seguito, accolto nella "Society of Dilettanti", ottenne praticamente l'esclusiva per i ritratti ufficiali dei suoi membri. Il pensiero di Reynolds, noto attraverso i discorsi pronunciati in occasione delle premiazioni alla Royal Academy of Arts, di cui fu il primo direttore, e successivamente pubblicati, non trova una piena rispondenza nella sua pittura. L'individuazione in Michelangelo e in Raffaello dei massimi protagonisti dell'arte era mirata a suscitare, negli allievi dell'accademia alcuni dei quali avrebbero poi perfezionato a Roma la loro formazione, il desiderio di studiare l'opera "del più gran genio mai apparso nelle arti", ossia di Michelangelo, e certamente rappresentavano anche l'espressione di un personale convincimento. Tuttavia, l'omaggio ai grandi del Rinascimento implicava l'ammissione del primato del disegno rispetto al colore, concetto che non ha praticamente riscontro nel modo di dipingere di Reynolds, costruito con pennellate veementi, liquide e sintetiche. Erano altri i suoi punti di riferimento, tanto nel periodo della sua formazione quanto nella maturità, come sottolinea Perini, che utilizza il taccuino toscano come ulteriore chiave di comprensione del pensiero e della pratica artistica del maestro. Nei settantanove fogli superstiti (in origine forse novantasei, come ipotizza l'autrice) del taccuino, realizzato su carta acquistata in Italia, i disegni a matita nera sono accompagnati da scritte autografe di Reynolds, talora vergate a penna, spesso con osservazioni relative al viaggio durante il quale sostò anche in Umbria, non limitandosi ad attraversare frettolosamente la regione ma fermandosi a osservare esempi di pittura locale non proprio scontati. Se i disegni di paesaggio (il ponte romano di Narni, la porta urbica di Assisi) sono tutto sommato prevedibili, non lo era per nulla l'attenzione, per esempio, a un dipinto come il San Francesco riceve le stimmate dell'assisiate Giacomo Giorgetti, "petit maître" del Seicento locale (c. 21r) del quale seppe probabilmente apprezzare la singolare individualità. In Santa Maria degli Angeli, dove è tuttora ospitata la pala del Giorgetti, Reynolds avrebbe potuto apprezzare una cappella interamente affrescata da un altro pittore di primo Seicento decisamente eccentrico rispetto ai canoni classicisti: quell'Antonio Pomarancio del quale a Firenze osservò con attenzione gli affreschi del portico di Santa Maria Nuova, tanto da copiarne un particolare (c. 35r), due figure di anziani che dodici anni più tardi (la puntualizzazione è sempre dell'autrice) Reynolds avrebbe riutilizzato nel doppio ritratto di James Paine col figlio. Gli appunti di tema toscano e fiorentino, dalle statue degli Uffizi ai dipinti di Barocci e di Bilivert fino alle notazioni di paesaggio (inclusi animali e umani) sono analizzati singolarmente; il testo è trascritto, tradotto e commentato, tutti i fogli sono riprodotti, resi perciò accessibili e utilizzabili. Una bibliografia e l'indice dei nomi (strumento indispensabile che non sempre è presente in testi/fonte come questo) completano questo lavoro che, come del resto ci si doveva attendere dalla competenza dell'autrice, va ben al di là di una semplice edizione critica. Liliana Barroero
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