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Chi nera Eustachio, ovvero Bartolomeo Eustachi? Un anatomista, tra i più eruduti e apprezzati, vissuto nel XVI secolo e che lavorò presso l'università di Padova, considerata a quel tempo "uno dei centri più illustri in tutta Europa e non solo". Sezionando cadaveri "l'illustre medico poté studiare a fondo quella tromba che porterà il suo nome." Oggi pochi ricordano chi fosse Eustachi e al pari di lui molti sono gli innovatori italiani dimenticati. Con questo saggio l'autore si propone di riportare alla nostra memoria i tanti innovatori italiani dimenticati e di cui dovremmo andare orgogliosi. Diceva Ugo Ojetti: "Questo è un paese che ha una storia straordinaria, ma non la studia, non la sa. Un paese ignaro di se stesso."
Le “lapides ad legendum” a cui Sideri fa ricorso sono quelle di chi è avvezzo alla lettura della realtà ma rifugge, sempre, ogni semplificazione di comodo. Di chi, per mestiere, presta la propria intelligenza alla divulgazione dei fatti e di questi si serve per indurci a riflettere. In queste pagine l’autore ci ricorda una scomoda verità: il nostro, “pur essendolo ‘naturalmente’ non è un Paese innovatore”. E per dimostrarlo apre il libro della storia mettendo in luce le vicende dei tanti italiani ai quali dobbiamo la nostra fama. Per lungo tempo, lo Stivale è stato patria di inventori destinati, spesso nel volgere di pochi anni, a un ingrato oblio. Da Bartolomeo Eustachi, detto Eustachio, a Fernando Di Leo, passando per l’ingegnosità di Spallanzani, Castaldi, Bernacotti, Meucci, Ferraris e altri sino agli ultimi decenni del novecento: ampia è “la spoon river dei dimenticati” e delle occasioni perdute. La disamina è impietosa quanto affascinante, ricca di stimoli e di spunti che invogliano all’approfondimento. Ma questo ‘piccolo’ libro non colma solo la memoria di tanti di noi. Ci ricorda ciò che il Paese deve fare, qui e ora, per costruire su solide basi il proprio futuro. Le parole magiche sono investimenti, ricerca, sviluppo. Innovazione. I decisori pubblici farebbero bene a prendere nota.
Da leggere assolutamente e da meditare sulla qualità di noi italiani: sempre a darci contro, a essere convinti di essere sempre fra i peggiori al mondo, di essere bravi solo nel design, nella moda e nell'alimentare. E invece siamo (e anche stati soprattutto) bravi nelle invenzioni. Poi passare dalle invenzioni al fatto pratico siamo dei quasi falliti: il caso Meucci è forse il caso più eclatante. Ma credo che sia la storia di Olivetti a farci definire dei bravi "tafazzi". Avevamo una delle migliori società al mondo e oggi non esiste più.
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