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Ho letto più volte "Il silenzio del Lete" per sincerarmi di una angosciosa impressione ricavata ad una prima frettolosa lettura, suggestionato dal titolo e dall'immagine della copertina (particolare della "Villa sul mare" di Arnold Bocklin). Lo confesso: nonostante i diversi passaggi non sono più riuscito a scrollarmi la impressione che il libro, sia pure arricchito da diverse preziosità barocche, è pervaso da un humus disperante. Quella sensazione che ciascuno vive accanto al feretro di una persona cara. Una sensazione profonda che ti pervade tutto e ti conduce nel tempo lontano che è stato tuo e ancora oltre. Ecco, l'autore descrive ciò con abile regia, recuperando a flash-back scene di vita "Babette vendeva scarpe a Portocervo / Io e Cosimo la conoscemmo in spiaggia / Mentre prendeva il sole / Nuda coi suoi peletti biondi // Finita la stagione sarebbe ripartita / Girava realmente per tutti i paradisi / Della terra così leggera / Da un'estate all'altra". Un prologo solare ma lontano nel tempo che mi viene da associare alla musica che apre il secondo atto di "Thais, opera della maturità di Jules Massenet: la Meditation, brano orchestrale di grande lirismo, trasognata poesia e intima religiosità. Ma, sovente, i flussi dei ricordi si ritraggono come una marea meditando il destino comune: "Quelli che alla stazione / Agitano la mano per salutare / Il treno che parte hanno / La tristezza nel cuore / Nel vedersi lasciare / L'inferno per questo / Sapere tutti i giorni / Come è bello vivere / E un giorno / doversene andare". E mi viene da pensare ad un brano di musica classica che scoprii quando avevo circa vent'anni nel juke - box di un bar: il Largo dall'opera Serse di Haendel, una melodia struggente che mi piaceva molto, nonostante i vent'anni. Ma nonostante somigliasse ad una melodia funerea (come diceva un mio amico che con me sorseggiava un caffè caldo) era, invece, nell'intenzione dell'autore un canto d'amore. Così come, tutto sommato, è "Il silenzio del Lete".
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