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scheda di Nardin, M., L'Indice 1993, n. 2
"Quale diritto è migliore?" chiede l'ultimo dei quattro capitoli di quest'operetta breve ma straordinaria. La domanda riassume bene il contenuto volutamente provocatorio del libro, che, raccogliendo una serie di lezioni tenute a Cambridge (1984-85) dal grande giurista e storico belga, si pone come punto di partenza per l'approfondimento dello studio intorno al ruolo assunto dai creatori e ai manipolatori del diritto nella formazione e nell'applicazione delle norme. Il confronto fra le tradizioni di 'civil' di 'common law' mostra, al di là delle differenze storicamente sviluppatesi fra i sistemi, che chi controlla il diritto controlla anche la società, che legislazione e dottrina (e anche giurisprudenza) non sono "astratte entità intellettuali", ma la voce di "alcuni gruppi di persone esprimenti particolari forze sociali e politiche". Scegliere fra il diritto dei legislatori che codificando limitano li potere creativo della magistratura, quello dei giudici, che non hanno nulla in comune fra loro se non il compito di pronunciare sentenze, e quello dei professori, giudici dei giudici che amano servire chi è al potere, può essere difficile. Per fare un buon diritto occorre allora, innanzitutto, seguire dei criteri che raccolgano un largo consenso fra i consociati, formulare regole giuridiche comprensibili e conoscibili, coinvolgere i cittadini nell'amministrazione della giustizia, rendere facilmente accessibile il ricorso alle corti e ai tribunali. Ma, soprattutto, per fare un buon diritto occorrono buoni giudici, che siano competenti, professionali, incorruttibili, a basso costo. Così semplice da essere irrealizzabile.
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