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Signora Auschwitz. Il dono della parola - Edith Bruck - copertina
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Descrizione


"Un'impacciata studentessa rivolgendomi una domanda mi chiamò "Signora Auschwitz". Luogo che abitava il mio corpo e che mi sentivo anche addosso, come una camicia di forza sempre più stretta, che negli ultimi due anni mi stava letteralmente soffocando, senza che fossi capace di liberarmene." Ha inizio così il viaggio negli oscuri tormenti dell'anima di una "sopravvissuta", destinata a dibattersi tra i lacci di una memoria cui non si scappa e il desiderio di liberarsi del peso insopportabile di un passato che la inchioda nel ruolo di "testimone". Obbligata a rendere conto di un orrore che non si lascia raccontare e rinnova il sentimento di una perdita irreparabile, la "sopravvissuta" non può andare "oltre" e ritrovare una serena normalità, è costretta ogni volta a ricominciare da capo. Eppure al destino non si sfugge e "il dono della parola" è anche il suo eterno tormento; il dovere di non dimenticare si capovolge nella condanna a ricordare e soffrire e il desiderio di fuga riaccende un insopprimibile senso di colpa, come se il silenzio sottintendesse un vergognoso tradimento. Un racconto sul dolore della memoria, la distanza che allontana dall'indifferenza degli altri, la disperazione di fronte all'incredulità, l'eroismo necessario per raccontare l'orrore che si è vissuto. "Chi ha Auschwitz come coinquilino devastatore dentro di sé, scrivendone e parlandone non lo partorirà mai."
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Dettagli

2014
Tascabile
93 p., Brossura
9788831720045

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Yoana S.
Recensioni: 5/5

Edith Bruck è una sopravvissuta all'olocausto. Questa sua opera è una testimonianza della testimonianza. Mi spiego meglio: Edith racconta approfonditamente il suo rapporto "malato" con la testimonianza in scuole medie, licei e università. Dico malato perché lei avvertiva un obbligo interiore di raccontare, ma allo stesso tempo sentiva di parlare a un deserto. I ragazzini erano per lo più disattenti, impassibili, chiacchieravano o ascoltavano la musica. Cosa significa "Signora Aushwitz"? Edith fu chiamata così da una studentessa nell'atto di rivolgerle una domanda. Tra le tante, Edith ne temeva quattro: se fosse in grado di perdonare, se riconducesse la sua sopravvivenza all'esistenza di Dio, se si sentiva italiana e se avesse nostalgia del suo paese. Erano domande alle quali non sapeva rispondere e un po' si vergognava di non saper dare una risposta esaustiva, che soddisfasse la curiosità degli sguardi fissi su di lei. Essere continuamente sballottata da una città all'altra dell'Italia era diventato insopportabile, sia a livello mentale che fisico, costringendola anche a visite in ospedale e sedute da neurologi ma, citando le sue parole, Auschwitz abitava il suo corpo e separarsene avrebbe fatto più male che continuare a testimoniare. Il libro racconta del continuo "tira e molla" del suo terribile ruolo di narratrice di orrori. Come le disse un'analista, lei possedeva "il dono della parola", era scienziata dei propri problemi, il suo vissuto non poteva toglierglielo nessuno ed Edith forse stava proprio cercando un testimone al suo non voler più testimoniare. Anche noi siamo testimoni di questo, siamo testimoni di come tutti i sopravvissuti hanno reagito al dopo Auschwitz e di cosa si sia celato nelle loro menti durante la permanenza nei lager. Riuscirà alla fine Edith a rinunciare definitivamente alla testimonianza o sarà stata una guerra persa in partenza?

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Agostino
Recensioni: 5/5

Edith Bruck in questo testo racconta una parte della sua vita, mostrandoci come l'esperienza della deportazione abbia lasciato cicatrici mai guarite nel profondo del suo animo. Non è un testo scontato, ma un modo diverso di raccontare una delle più grandi tragedie del secolo scorso e la tragedia dell'esistenza stessa della scrittrice. Il suo dolore è quasi palpabile: con lei soffriamo e percorriamo insieme un cammino di scoperta, di svelamento, di uscita dalla contraddizione del detto-non detto. Questa strada che Edith Bruck racconta con sentimenti di paura, quasi di panico, al lettore appaiono invece racconti di estrema lucidità, quasi di inevitabile follia per giungere alla guarigione, una guarigione interiore prima che fisica. Grazie per avere affrontato questa strada, grazie per il coraggio della parola che guarisce anche noi.

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monica
Recensioni: 4/5

Sopravvissuta ad Auschwitz in questo libro l'autrice riflette sul valore della testimonianza e del peso che essa comporta. Parla alle scuole del suo passato indicibile, scrive libri ma questi fattori le procurano spesso non solo malesseri interiori ma anche fisici che non riesce a curare coi farmaci. Come dice lei Auschwitz e' la sua pelle, la intrappola nel suo passato e non si libera dal senso di colpa che prova per aver vissuto il Lager. Testimoniare Auschwitz e' un forte peso che deve sopportare ma e' necessario perche' negarlo non la guarisce. Un piccolo libro ma di forte impatto, fa riflettere sulle conseguenze del passato dei Lager che accompagneranno per sempre il sopravvissuto e che mai potra' guarire da esso.

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Edith Bruck

1931, Tiszakarád (Ungheria)

Edith Bruck è una autrice di origini ungheresi, ma naturalizzata italiana. Nata in una povera, numerosa famiglia ebrea, nel 1944, poco più che bambina,viene portata nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. Nelle sue opere ha reso testimonianza dell’evento nero del xx secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Chi ti ama così (Marsilio 1994), L'amore offeso (Marsilio 2002), Lettera da Francoforte...

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