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Si potrebbe definire una sorta di diario a posteriori il libro che Ossicini ricava da appunti e documenti risalenti al periodo 1936-45 e nel quale ripercorre, mese dopo mese, momenti e forme dell'opposizione al fascismo e della resistenza. La sua narrazione, piena di ostinate messe a punto e di minute precisazioni, risulta quanto mai utile per capire più a fondo intenzioni e programmi di quel nucleo di intellettuali che si distinse nel tentare una difficile conciliazione tra appartenenza cattolica e militanza comunista. Chi insegue la storia delle parole scoprirà che fu un calabrese a capo dell'ufficio politico romano, Domenico Rotondano, a usare probabilmente per la prima volta il termine "catto-comunista". L'autore rivendica meriti e autonomia del gruppo identificabile come "Sinistra cristiana" e non mancano pagine commosse e vivaci: si veda il racconto dell'assemblea tenuta il 9 settembre 1944, in apertura della quale viene ripreso il nome, appunto, di Sinistra cristiana, più comprensivo e accettabile di un secco riferimento alla tradizione cattolica. L'esperienza, avviata nel 1937, terminò con il congresso straordinario del 7-10 dicembre 1945, allorché si riconobbe che in quella fase il partito della Sinistra cristiana era ormai diventato "uno strumento definitivamente inefficace e dannoso". Ossicini non concorda con il giudizio che di quella conclusione dette Togliatti, secondo il quale essa fu "un insuccesso della causa democratica". Il micropartito si sciolse perché, secondo l'autore, aveva terminato il suo "compito storico". Oggi è ozioso interrogarsi se la sua presenza sia stata un successo o un fallimento. Tonino Tatò, citando un passo del Vangelo di Giovanni, spiegò che un seme solo se marcisce e muore rinasce come spiga. "E la spiga si chiede amaro Ossicini sarebbe stato l'ingresso nel partito comunista?".
Roberto Barzanti
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