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recensione di Bianco, L., L'Indice 1996, n.10
La gita scolastica sulla neve del piccolo Nicolas e della sua classe inizia all'insegna di "un bambolotto di plastica che si apriva come una scatola, rivelando scheletro e organi da togliere e rimettere per scoprire l'anatomia del corpo umano"; da questo sinistro presagio si snoda una vicenda di rapimenti di infanti, traffici di organi, spaventosi luna park, incidenti mortali... ma tutto ciò, forse, accade soltanto nei brutti sogni di Nicolas: la settimana bianca, infatti, procede nella sua rassicurante e misurata regolarità, punteggiata da nevicate e ricreazioni, timidezze e sbruffonerie; perfino l'atroce fatto di cronaca, l'effettivo omicidio di un bambino che si verifica a metà del romanzo, non sembra turbare più di tanto la routine di questa vacanza invernale, perso com'è tra misteriose visite dei gendarmi e nervose rassicurazioni degli educatori.
A nove anni i comportamenti degli adulti appaiono sempre circonfusi da un alone di mistero che li rende incomprensibili e incombenti, un poco come nei fumetti dei Peanuts o di Calvin e Hobbes: i genitori sono sempre e soltanto delle stilizzate, ostili sagome, delle voci stentoree che, fuori campo, intimano, promettono o minacciano. Tra gli altri meriti, quest'ultimo romanzo di Emmanuel Carrère ha proprio quello di spostare la scrittura "ad altezza di bambino": per tutta la durata del romanzo, gli occhi del lettore sono esattamente al livello di quelli di Nicolas, le sue angosce sono quelle di un timido scolaro un po' disadattato, i suoi riferimenti sono le fiabe di Andersen oppure i racconti dell'orrore letti di nascosto nella biblioteca dei genitori: è esemplare, in questo senso, la citazione del terrificante "La zampa di scimmia" di W.W. Jacobs.
Ma questo efficacissimo spostamento del punto di vista non è certo l'unico pregio de "La settimana bianca": la scrittura di Carrère è infatti lucida e tersa, minuziosa nella sua implacabile cronaca di un disastro interiore che ricorda il Perec di "Un uomo che dorme"; lo stesso ricorso ad alcuni capolavori dell'horror rivela quella feconda familiarità con la letteratura di genere che è un tratto distintivo e invidiabile degli scrittori francesi dal dopoguerra in poi. Non va infatti dimenticato che proprio Carrère è divenuto l'ultimo e più convincente biografo dello scrittore di fantascienza Philip Dick ("Io sono vivo e voi siete morti", Theoria, 1995; cfr. "L'Indice", 1996, n. 2), e che, per sua stessa ammissione, riguardo al suo primo romanzo "Baffi" (Theoria, 1991), si era molto stupito del fatto che i critici tirassero in ballo Pirandello quando, invece, lui aveva tentato di imitare Richard Matheson, altro scrittore di science fiction al quale si devono romanzi come "I vampiri" e "Tre millimetri al giorno". Né va dimenticato, ed è un'ulteriore felicissima riscoperta che il romanzo di Carrère fa compiere ai suoi lettori, che il miglior serbatoio di tanta fiction sono proprio le paure e le angosce infantili, quei meravigliosi e inquietanti meccanismi di pensiero che consentono e obbligano a creare fantasmagoriche trame romanzesche partendo dal più piccolo incidente.
Scritto in pochi mesi, "La settimana bianca" si legge in poche ore, ed è davvero un libro in cui tout se tient: dalla splendida copertina dell'edizione italiana (che pare pensata apposta per il romanzo) alla bella traduzione di Paola Gallo, che riesce a restituirci il minuto lavorìo dello stile di Carrère, guidandoci in questo piccolo arazzo intessuto della stoffa di cui sono fatti gli incubi.
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