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Sono gli ultimi, bellissimi versi del "Poema della fine" di Marina Cvetaeva che Precht sceglie per cornice del suo romanzo, lasciando loro l’onere del titolo e della chiosa. In "Senza tracce, muto, come affonda una nave" Steve, detective corpulento, disilluso ed efficace si confronta proprio con la fine di un uomo consapevole del sopraggiungere ineluttabile della morte, a chiudere un’esistenza segnata dal passato e da colpe incancellabili. Centrale è il tema del rapporto genitori-figli, in particolare il legame tra un padre e la figlia. Partendo da qui, Precht accompagna il lettore spaziando dalla tragedia ancora irrisolta dei desaparecidos argentini alla Svizzera della morte dolce, descrivendo azioni e pensieri di quattro uomini, destinati a incrociarsi per le strade di Zurigo e accomunati da cicatrici di diverso tipo, che segnano ognuno di loro. Julio, il più giovane, la cicatrice la esibisce sul volto, mentre Steve, Riveros e Helmer, un infermiere, la portano, figlia della disillusione o della colpa, sul cuore. Ed il loro tentativo di venire a patti con le rispettive cicatrici permette al lettore di rivivere la grande tragedia del regime militare che ha sconvolto la vita di milioni di argentini negli anni Settanta e di conoscere i risvolti delle norme svizzere che disciplinano il diritto a morire con dignità. In definitiva, un romanzo che coniuga magistralmente dimensione gialla e dimensione psicologica, ponendo in primo piano due temi, la tragedia dei desaparecidos e l’eutanasia, la cui attualità conferisce all’opera una personalità composita.
Recensioni
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