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Il libro costituisce il primo volume di una ricerca che l'autore si propone di dedicare al tema della leadership educativa. In questa prima pubblicazione viene esaminato il dibattito teorico a livello internazionale sul tema, mentre il prossimo volume approfondirà il confronto "teorico-intepretativo e le condizioni di attuazione della leadership in alcune politiche dell'autonomia nel nostro paese". Va detto subito che una delle caratteristiche del libro, e anche il suo principale limite, è di rivolgersi a un pubblico già addentro a questa tematica: quindi ricercatori universitari o dirigenti scolastici e docenti che non siano digiuni della questione.
Detto ciò, il volume propone un ampio e ragionato quadro del dibattito internazionale sul tema della leadership educativa, offrendo spunti piuttosto interessanti, anche alla luce della situazione italiana. L'autore presenta infatti gli approcci teorici esaminati adottando una matrice che li distingue, innanzi tutto, a partire dai contesti in cui si ritiene che si realizzi la leadership educativa. Abbiamo quindi un contesto "atomista", che focalizza il ruolo degli individui nella scuola e quindi tende a esaltare l'importanza della volontà individuale, in particolare dei dirigenti, e a sottostimare il peso delle interazioni tra i vari attori del processo educativo. Il secondo contesto è di tipo "interazionista": in quest'ottica i risultati dell'esercizio della leadership educativa non sono riconducibili semplicemente alle qualità individuali, ma dipendono largamente anche dal contesto organizzativo. Infine, il terzo contesto considera la scuola in termine di "reti di pratica", in cui la leadership educativa è il risultato dall'incrocio delle azioni e dell'influenza di vari soggetti ed entità: dalla persone alle culture, dalle norme alle strutture fisiche.
Intersecano questi tre tipi di focalizzazione della realtà scolastica tre approcci interpretativi del significato e del ruolo della leadership educativa: il discorso "burocratico-professionale", quello "managerialista" e quello "democratico-critico". Di questi tre filoni interpretativi l'autore fornisce una ricostruzione storico-teorica. L'approccio "burocratico-professionale" è infatti figlio della stagione dello sviluppo, in Europa, delle politiche di welfare, dagli anni cinquanta agli anni settanta. Queste politiche consideravano l'istruzione un diritto dei cittadini a cui lo stato aveva il dovere di rispondere organizzando, con l'ausilio di un articolato apparato burocratico, una rete di scuole all'interno delle quali i docenti godevano di un ampio margine di autonomia, limitato solo da vincoli di natura formale.
Il secondo modello, quello "managerialista", nasce invece sulla scia delle politiche neoliberiste che si sono imposte negli anni ottanta e novanta. Questo tipo di discorso vede la scuola secondo i principi delle "3E": efficienza, efficacia ed economia; in altri termini, esso tenta di applicare categorie delle aziende che operano sul mercato a istituzioni pubbliche così peculiari come le scuole. Di qui l'adozione di parole chiave desunte dalla cultura di impresa degli anni ottanta-novanta ("qualità", "eccellenza", "visione", "soddisfazione del cliente") e la centralità della dirigenza della scuola nell'esercizio della leadership educativa che, anche quando è distribuita tra più soggetti, lo è comunque per delega del dirigente scolastico.
Di questo secondo modello l'autore, facendo riferimento al dibattito internazionale più recente, propone una dura e serrata critica. Serpieri ne decostruisce la pretesa di neutralità, mostrandone non solo la genesi storica, ma anche le finalità implicite e i limiti intrinseci. Il managerialismo, scrive infatti Serpieri, è stato uno "dei 'grimaldelli' più potenti che il neoliberalismo ha utilizzato per scardinare gli assetti istituzionali dei sistemi di welfare e ridurre il 'peso' del pubblico nell'educazione, così come in altri settori di politiche pubbliche". Ma, soprattutto ed è questo uno dei contributi più interessanti del volume il managerialismo fallisce nel momento in cui astrae dalla dimensione politica (a livello "micro", cioè come insieme degli scontri di potere che esistono sempre all'interno delle scuole, e "macro", ovvero come scelte di politica scolastica a livello nazionale e transnazionale) e da quella sociale. Inoltre, esso non tiene conto della peculiarità stessa delle professioni educative, che, se venissero ingabbiate nei modelli rigidi e standardizzanti delle teorie managerialiste, non potrebbero esercitare quella flessibilità e discrezionalità che è la condizione della loro capacità di produrre apprendimento e crescita educativa.
A questo approccio Serpieri contrappone il discorso "critico-democratico", che non consiste solo nel proporre una leadership educativa distribuita, ma nel ritenere che tale distribuzione, o meglio ancora "ubiquità", non abbia solo funzione strumentale: essa è dotata di un valore intrinseco e normativo, dal momento che "non si può chiedere alla scuola di formare cittadini democratici, se poi non si fa della scuola il luogo di culture democratiche inclusive". G. Giovannetti
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