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Attraverso uno sguardo grato e incantato dalle piccole cose che commuovono come un semplice prato o lo scrivere i propri pensieri su un quaderno, più volte Antoine supplica la mamma di scrivergli “in fretta e sovente”, perché le sue lettere gli fanno bene, “sono come un balsamo rinfrescante”, piene di “cose così deliziose da dire” che lo “commuovono per un giorno intero”. Questo libro offre il senso profondo di quello speciale, unico e indissolubile rapporto che unisce una madre e un figlio, che non smette mai di sentire il forte attaccamento con il genitore, anche in età adulta. “Ho bisogno di voi come quando ero piccolino. Mammina mia, come vorrei essere lì con voi! Giorno dopo giorno imparo un po’ di più ad amarvi. […] Siete quello che c’è di meglio nella mia vita.” Con amarezza, leggiamo a più riprese della sua ammissione di solitudine, che ha “portato a passeggio per le strade arabe”, e di come “abbia in uggia questa vita sempre provvisoria.” Antoine si trova anche a fare i conti con delusioni e superficialità di persone che riteneva amici. “Non sopporto più il fatto di non riuscire a trovare nel prossimo quello che cerco; resto sempre deluso quando scopro che una mente che credevo interessante altro non è che una matassa facile da dipanare. Mi disgusta e provo rancore. Depenno dalla mia vita un sacco di cose e un sacco di persone, non riesco a resistere” ammette. Ho trovato questa lettura epistolare molto malinconica, ma vera. Suscita tante riflessioni, una tra tutte quelle di voler bene ai genitori e non dare mai per scontato la loro presenza, purtroppo non infinita. È breve, scritta con un linguaggio tipico di quell’epoca, per noi oggi un po’ ricercato, ma sempre molto educato e rispettoso.
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