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Anno edizione: 2012
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Per quanto frutto di pura fantasia e non di una esperienza diretta, il romanzo è di un realismo eccezionale e sconcertante, con una profonda indagine psicologica che annota tutte le pulsioni intime nel passaggio dalla spensierata adolescenza alla riflessiva maturità di un giovane nordista, un processo che avviene in soli tre giorni di battaglia, ma che nella scrittura sembrano assai di più, tante sono le reazioni, le emozioni, le paure e anche i coraggi che investono il protagonista. Da quasi disertore, è poi scambiato per uno ferito sul campo (ma la ferita gli era stata provocata da un commilitone), fino all'apoteosi finale, con l'eroismo inteso come mezzo di riscatto e che lo condurrà a diventare definitivamente uomo e anche a renderlo consapevole che ognuno può, a suo modo, essere un esempio per gli altri. A scanso d'equivoci preciso che non si tratta di un'opera militarista, anzi forse per la prima volta la guerra viene descritta per quello che è: distruzione, morte, sofferenza, polvere, angoscia. E questo con un realismo sorprendente e al riguardo basti pensare a una frase come questa:" una piccola processione di feriti ritornava lugubremente verso le retrovie ed era come sangue che colava dal corpo lacerato della brigata.." Lo scopo dell'opera come ho detto è ben diverso e Crane, consapevole del fatto che ogni essere umano di fronte al pericolo incombente mette a nudo la sua vera natura ed è in pratica chiamato a fare i conti con se stesso, scava nell'animo di questo nostro soldatino, analizza i suoi timori, evidenzia le sue speranze, lo mette di fronte a un fatto che è più grande di lui, ma di cui lui è parte. Ed è proprio tutto questo che lo porterà a maturare in soli tre giorni: la battaglia era iniziata che era quasi un bambino, finisce che lui è diventato uomo. Il segno rosso del coraggio è una di quelle opere da leggere con calma, da centellinare, perché solo così è possibile apprezzarne l'elevato valore.
Un libro semi-sconosciuto, eppure il trionfo della letteratura. Ogni veterano della guerra di Secessione credeva che l'autore fosse uno di loro: x conoscere particolari ed episodi C. s'era spolpato molti reportage di giornalisti come lui, ma per rendere la psicologia dei soldati (contraddizioni, timore del giudizio altrui, viltà, alibi, eroismi) ci ha messo solo del suo, un impressionante, tolstojano realismo. C. all'epoca della guerra civile non era nemmeno nato e non ha mai combattuto in vita sua. Eppure ogni pensiero, ogni scoperta del giovane protagonista sembrano parte del diario reale di un combattente, e l'andamento del plot non risulta così né lineare né oleografico. Inquietante la modernità dell'approccio psicologico alla guerra. La guerra come prova personale, azione per l'azione (Hemingway, Malraux). Nessuna motivazione ideale, solo un po' della mentalità machista ("dimostrarsi uomini", "eroismo"), malgrado la consapevolezza della casualità dei ferimenti e delle morti, e di quanto conti la buona sorte; e malgrado la constatazione che il famigerato "Nemico" è un soldato incazzato e sprovveduto come te. La mentalità dei marines americani oggi non credo sia molto diversa da quest'elementare ignoranza di sé e del mondo, da questa disponibilità a qualunque azione: insomma è utile e forse persino necessario che il soldato sia profondamente ignorante. Interessante pure lo stile: ricordano Hemingway non solo la psicologia e la brevità del testo. L'introduzione di Barbero sottolinea l'innovativa scelta di riprodurre l'elementare, sgrammaticato parlato dei soldati; il quale contiene anche espressioni per l'epoca volgari, che perciò lo storico-traduttore ha reso come "parolacce", giustificando come presente già nel testo il vistoso iato tra lo slang dei dialoghi e la tendenza al simbolismo delle descrizioni che invece sono del narratore: in un libro dell''800 fanno un certo effetto "'sto cazzo di", "stronzo di un parroco" e poi "coperte mortifere", "stupefazione".
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