Figura di punta della riflessione internazionale sui rapporti fra storia e memoria, autore di un'originale interpretazione della storia novecentesca europea incardinata attorno alla categoria di "guerra civile", Traverso ha raccolto e riscritto, "talvolta anche in modo molto consistente", otto saggi redatti nell'arco di un quindicennio e "legati tra loro da uno stesso oggetto di ricerca: i dibattiti storiografici intorno alle violenze del mondo contemporaneo, le interpretazioni globali del XX secolo come epoca di guerre, totalitarismi e genocidi". Il risultato è un bel libro, lucido e appassionato, che trova punti di riferimento metodologici generali in Walter Benjamin e Reinhart Koselleck, ingaggiando anche un dialogo serrato con studiosi quali Quentin Skinner, Arno Mayer ed Eric J. Hobsbawm. Del primo Traverso soppesa con attenzione il richiamo a una lettura "anti-essenzialista" delle fonti, non senza rilevare come la sua proposta, però, dia "spesso l'impressione di voler imprigionare le idee di un'epoca all'interno della loro cornice linguistica". Dal secondo (chiamato affettuosamente "Arno"), Traverso attinge, rielaborandola, una nozione di storia delle idee fondata sulle quattro "regole" della contestualizzazione, dello storicismo, del comparativismo e della concettualizzazione. Con il terzo, e forse non potrebbe essere altrimenti trattandosi di un libro sul Novecento, il lavoro di Traverso si apre e chiude. Al leggendario storico inglese del "secolo breve" Traverso dedica infatti il capitolo d'esordio, confrontando la sua tetralogia con i più recenti tentativi di allargare in chiave globale la storia contemporanea a opera di Christopher Bayly e Jurgen Osterhammel. E sottolinea dunque il carattere "eurocentrico" della nota periodizzazione di Hobsbawm, elaborata tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni novanta, "in un orizzonte storiografico che precede il postcolonialismo". Con quest'ultimo invece Traverso dialoga abilmente, così come con il modello del "lungo" XX secolo dell'economista e sociologo Giovanni Arrighi. Né Traverso manca di disegnare un parallelo critico con Furet o mostrare come l'approccio di "lunga durata" di Hobsbawm "assorbe l'evento" e produce un'"indifferenza" che "riguarda non soltanto i campi nazisti e il gulag, ma anche altri momenti chiave del XX secolo" come il maggio '68. Ma Traverso anche riconosce giustamente a Hobsbawm di incarnare un'"inquietudine" che è "uno specchio del nostro tempo". E centocinquanta pagine dopo, in una sensibile conclusione sulla "malinconia" da cui è affetta la storiografia del XX secolo, ribadisce che "la visione tragica della storia che permea le opere del vecchio Hobsbawm (
) è più feconda della celebrazione compiaciuta dei vincitori". Nelle centocinquanta pagine comprese fra i due ultimi brani citati, Il secolo armato muove i propri altri sette nitidi capitoli fra le rivoluzioni in Furet e Mayer e i fascismi in Mosse, Sternhell e Gentile; discetta in maniera piana e profonda di Shoah, genocidi e totalitarismo; scala con disinvoltura ardue cime della più recente riflessione filosofica sulla storia quali il "biopotere" in Foucault e Agamben; insegue, agile e levigato, "teorie viaggianti" fra l'"esilio ebraico" di Hannah Arendt e l'"Atlantico nero" di C. L. R. James. Lascia anche, però, l'impressione che, sulle orme di Hobsbawm, ci siano un po' troppo pochi Stati Uniti nel libro per poter parlare, come fa il titolo, di violenze nel XX secolo (si pensi ai linciaggi). E ci siano forse anche un po' troppo poco capitalismo/capitalismi. A tratti lo sfondo di questo tour de force di storia delle idee si fa opaco. Un esempio per tutti, un'icona del secolo, gli operai Ford, qui evocati solo per dire che già negli anni trenta "conoscevano il lusso" di "appartamenti dotati non solo di un bagno, ma anche di riscaldamento centralizzato, telefono, frigorifero, lavatrice e televisore, compresa un'auto in garage". Un'immagine, questa, che involontariamente li "essenzializza", rispetto alla ben più complessa e dura esperienza reale, materiata di discriminazioni razziali e soprattutto di un regime di fabbrica nel quale predominavano violenza e gangsterismo padronali, ampiamente attestata da trent'anni di storiografia sociale. Anche di queste e altre violenze è stato fatto il Novecento e sarebbe bene incorporarle nei "discorsi" sul secolo. Così come è augurabile che un libro stimolante come questo solleciti, come Traverso stesso auspica, un dialogo a tutto campo fra gli storici delle idee come lui e gli storici culturali e sociali e il loro lavoro d'archivio, sulle fonti orali, sui materiali audiovisivi. Ferdinando Fasce
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