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Nel Rinascimento la cartapesta fu utilizzata ampiamente per le repliche, che parevano moltiplicarsi all'infinito così come i libri a stampa (secondo l'analogia proposta da Leonardo in un acre giudizio sulla scultura), ma anche per opere autonome: ne sono un esempio gli altorilievi di Jacopo Sansovino (tra cui le due Madonne col Bambino del Szépmüvészeti Múzeum di Budapest e del Bargello, recentemente restaurate) e le macchine di Baccio da Montelupo, di Taddeo Zuccari e di Domenico Beccafumi, autore di un cavallo "tutto di carta pesta e vòto dentro", ricordato da Vasari. Numerosi furono anche i modelli in cartapesta, che servivano a effettuare controlli sul punto di vista e sull'ingombro, utilizzati fra l'altro da Bernini per la realizzazione degli angeli del baldacchino di San Pietro ma ancor prima da Donatello, che se ne serviva con quella disposizione riconosciuta da Vasari a metter mano a tutte le cose "senza guardare ch'elle fossero vili o di pregio".
Una sezione della mostra, e del catalogo relativo, è stata dedicata alla cosiddetta scultura "polimaterica" e alla produzione di manichini o statue "da vestire" nell'Italia rinascimentale, con particolare interesse per la figura di Romano Alberti detto il Nero. All'età barocca, che vide il regolare utilizzo della cartapesta per gli apparati effimeri destinati a feste e celebrazioni, ma anche per la produzione seriale di figure devozionali, è dedicato un ulteriore momento del catalogo, con un'analisi della fortuna – o sfortuna – goduta da quel materiale.
Nel Settecento la statuaria devozionale leccese in cartapesta raggiunse l'apice meritorio, grazie in particolare all'attività di Mauro Manieri e poi Pietro Surgente, autori di figure mimetiche della scultura lignea policroma; a questi seguirono, forti di una tradizione ormai consolidata, generazioni di cartapestai ancora lodatissimi alle esposizioni nazionali tra fine Otto e primo Novecento, ma ormai per lo più legati a una salda serialità.
Una particolare definizione di "arte industriale", fornita da Camillo Boito allo scadere dell'Ottocento, assumeva come esemplare questa produzione così peculiare e poco conosciuta; rileggerla oggi sulla base di nuovi dati e nuovi scenari significa forse anche interrogarsi sulla rimodulazione di concetti quali l'"artigianato" e l'"arte minore": "Uno dei due termini indispensabili di questa è l'industria, né l'industria vive senza la copia della produzione e la larghezza della diffusione. Può dirsi arte industriale, per esempio, quella della cartapesta di Lecce, perché le Vergini, i santi, gli Angeli, i Crocifissi di cartapesta partono dalle numerose botteghe della gentile città di Puglia per viaggiare fino al settentrione d'Italia, entrando nelle nicchie dei presbiteri e adagiandosi sugli altari persino delle nostre alpi nevose; ed è industria dove un certo spirito di bellezza, una certa misurata espressione non mancano".
Uno dei risultati degli studi presentati nel volume è il riconoscimento della cartapesta, normalmente associata a usi effimeri o respinta nella sfera popolare-devozionale, come genere scultoreo proprio, che ha raggiunto, in certi casi, livelli qualitativi non trascurabili. La regia del catalogo, così come il progetto dell'esposizione, si deve a Raffaele Casciaro, che pone come centrale e irrinunciabile l'autopsia materica, tecnica, strutturale, compositiva dell'opera, punto di partenza per la ricostruzione della prassi di bottega, della genesi fabbrile dell'opera.
Paola Elena Boccalatte
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