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Ci sono molti Sanguineti, il poeta e il professore, il romanziere e il politico, il saggista e il traduttore, il teorico e il polemista, l'uomo di teatro, l'antologia, il commentatore, il collaboratore di Berio e di Globokar, di Baj e di Del Pezzo, di Ronconi e di Besson... Queste varie dimensioni del personaggio sono come rispecchiate e ricomposte nel Sanguineti collaboratore assiduo di quotidiani e riviste, apparso, quasi a sorpresa, negli anni settanta, e documentato allora nei "Giornalini" (editi, in due volumi, nei "Saggi" Einaudi): è il Sanguineti che scrive su "Paese Sera" e sul "Giorno", sull'"Unità" e su "Tuttolibri", sul "Lavoro" e su "Rinascita", sull'"Espresso" e sulla "Città futura"...È Sanguineti che si ritrova ora in questi Scribilli, in cui quell'io, in apparenza tanto diviso, e in verità piuttosto moltiplicato, è poi il medesimo io che si rivela nei suoi versi, nell'itinerario trentennale di "Segnalibro" (1951-1981), ma qui dispiegato nell'immediatezza di una prosa capricciosa e comunicativa, labirintica e veloce ad un tempo. Lo 'scribillare' sanguinetiano è una registrazione di esperienza si fa sempre più debole e settoriale, effimera e narcisistica. E lo ‟scribillo”sperimenta così, come il titolo evidenzia, l'incontro paradossale dell'ingenuità e dell'ironia, due condizioni ormai rare per sé, ma rarissime poi a trovarsi congiunte. Meglio che diario in pubblico, questi Scribilli sono dunque testimonianza per un'epoca, o piuttosto contro un'epoca, contro il nostro tempo. Gazzettini, per dirla foscolianamente, "scritti non volendo", sono l'espressione più caratteristica e trasparente di un autore, il quale ama dire che quanto è ragionato in un libro può più ragionevolmente contrarsi in un sobrio saggetto, e quanto sta ragionevolmente in un saggetto può essere raccolto con anche maggiore chiarezza e rigore, a dispetto di tutti i pedanti, in un paio di colonne di giornale. In fondo, si tratta di una raccolta di variopinti epigrammi morali.
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