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scheda di Mancia, M., L'Indice 1994, n.10
Mi piace iniziare questa breve recensione con una frase tratta dell'efficacissima introduzione del curatore: "La vita è un'opera che continuamente viene costruita poeticamente ed immaginariamente da chi si prenda il carico di accettarla inizialmente come un non senso da restituire alla sua miticità".
Si tratta della raccolta di articoli, interventi e materiale clinico pubblicato nel corso degli anni da una coppia di psicoanalisti uniti nella vita oltre che nel lavoro di ricerca. La Törok, rimasta sola, ha curato questo testo di cui è in larga parte coautrice. Ogni vita a appare come una sequela ininterrotta di separazioni e necessita di una continua elaborazione delle separazioni e dei lutti che deve affrontare nel suo svolgersi, dal distacco dall'utero in poi. Il segreto parrebbe consistere nel non "ammalarsi" di lutto, di essere in grado di elaborarlo e utilizzarlo in modo creativo per costruire la propria esistenza, non malgrado ma grazie ad esso.
Il lavoro analitico si avvicina alla creazione artistica proprio nel senso della ri-creazione di una realtà e di un mondo interno che consenta al paziente di sviluppare le proprie potenzialità spesso bloccate proprio dall'incapacità a elaborare i propri lutti. Per la Klein, ogni volta che l'individuo affronta la posizione depressiva legata a un lutto, si trova di fronte a oggetti interni da lui stesso attaccati e distrutti e alla necessità di riparazione legata al senso di colpa che ne deriva. In questo senso ci appare molto interessante l'approfondimento clinico operato dagli autori con l'elaborazione del concetto di introiezione a partire dalla teoria di Ferenczi. Per Freud il lutto poteva dirsi elaborato quando le pulsioni libidiche investite nell'oggetto perduto venivano reinvestite in un nuovo oggetto, dopo avere incorporato ed essersi identificato con l'oggetto venuto a mancare al fine di compensarne la perdita. Per Ferenczi l'introiezione non rientra nell'ordine della compensazione, ma della crescita. Quello che viene introdotto nell'Io, non è l'oggetto d'amore perduto, ma l'insieme delle pulsioni legate all'oggetto stesso.
Questi autori sottolineano una sostanziale differenza tra introiezione e incorporazione: la prima è un processo progressivo e dinamico, la seconda un'operazione istantanea, che risponde alla necessità di soddisfare il principio di piacere in modo quasi allucinatorio. L'introiezione delle pulsioni rende indipendenti dall'oggetto, mentre la sua incorporazione crea o rinforza un legame con l'imago che lo rappresenta. Come Karl Abraham ha evidenziato per primo, il lutto si accompagna sempre a un incremento della libido e fa nascere il senso del peccato (ho goduto quando maggiormente avrei dovuto soffrire). Ne consegue che l'imago incorporata viene incistata in una cripta interna creata dal soggetto. In questo modo la presenza dell'oggetto morto resta come presenza persecutoria nel mondo interno dell'individuo.
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