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Il grande romanziere americano, uno dei più grandi, e, forse il meno americano, oltre che grande autore di biografie, unendo le sue passioni confeziona la sua autobiografia. E quando dico le sue passioni, non alludo solo a quelle letterarie, non si può certo tralasciare di citare – sia letto questo volume, sia i suoi precedenti – come passioni di White, Parigi, il sesso e la paura della morte, morte non nel senso stretto della propria, ma quella sorta di “morte globale” che fu (e purtroppo è) l’AIDS, che nel volgere di pochi anni sterminò migliaia di esistenze, e, con esse, uno stile di vita e la voglia di raccontare gli anni precedenti alla terribile epidemia. White, invece continua a raccontarci di incontri sessuali, a due, tre, e più, casuali, con sconosciuti, organizzati, mercificati, mentre molti dei suoi colleghi preferiscono tacere su questa malattia in quanto argomento doloroso, e per non incitare – idea totalmente ipocrita – i giovani a seguire l’esempio di quella specie di “ottovolante del sesso” che fu, principalmente New York negli anni settanta, e ogni altra città in cui vi era un gruppo di gay. [...] La grande capacità di romanziere dell’autore compone racconti molto belli a volte assai ironici, altre volte crudi, ma sempre scritti con grande eleganza e gusto romanzesco, quasi più europeo che americano, e nel tratteggiare le varie storie, White si diverte a fare piccoli “pastiche”, cambiando registro secondo il tono del racconto, facendone sembrare alcuni quei telefilm degli anni in bianco e nero, altri con un gusto spiccatamente francese, e così via. Una misurata ironia e qualche acre sarcasmo rendono ancor più gustoso questo caleidoscopio di personaggi, che sovrapposti compongono un grande protagonista della letteratura. Tra tutti bellissimo il racconto “L’oracolo” con un finale davvero mozzafiato. In questo periodo di grande ipocrisia sul tema dell’omosessualità, sentirla raccontare in modo così schietto, profondo ma semplice è davvero una boccata d’aria.
Recensioni
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Otto racconti di Edmund White descrivono un modo di vivere sé come maschio omosessuale americano bianco, dalle ritrosie e il senso del peccato degli anni cinquanta fino al grande lutto che l'Aids ha provocato negli anni ottanta, passando per l'esaltazione degli anni settanta, e un presente fatto di estraneità, disillusione e affetto per la propria memoria. White usa luoghi letterari ed esistenziali definiti, dalla Grecia come mito fondativo, alla palestra come metafora dell'omologazione, l'America rozza e innocente e l'Europa raffinata ed esausta, l'oro degli occhi giovani e il grigio delle carni invecchiate, fedeltà del sentimento e tradimento dei corpi, i college, New York, Parigi, Venezia, le isole greche. La scrittura procede per rizomi, o gemmazioni, come descrivesse un oggetto la cui definizione deriva da quello a fianco. Il libro purtroppo sconta nella sua edizione italiana una pessima cura editoriale. Il titolo originale non è indicato, il sottotitolo, "Racconti autobiografici", non sappiamo chi l'abbia scelto, se l'autore o l'editore italiano, e questo rende difficile valutare criticamente il rapporto fra autobiografia e scrittura, in White centrale e significativo. Inoltre il testo presenta una serie di refusi sconcertante.
Federico Novaro
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