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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2010
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La scoperta dell'uomo che ebbe luogo nell'età del Rinascimento ebbe un duplice volto. Da un lato si trattò del processo descritto da Jacob Burckhardt, che ne fece il tratto distintivo della nuova età. Dall'altro si trattò di un fenomeno culturale assai più complesso che riguardò soprattutto la percezione della "diversità" umana come effetto delle scoperte geografiche. Questa storia è stata più volte raccontata e analizzata nei suoi diversi tratti cronologici e aspetti particolari: geografici (John H. Parry, Nicolás Wey-Gómez), scientifico-naturalistici e filosofici (Antonello Gerbi), antropologici (Margaret T. Hogden, Peter Hulme), storico-politici (Felipe Fernández-Armesto, Lyle N. McAlister), etno-antropologici e filosofici (Rosario Romeo, Giuliano Gliozzi, Tzvetan Todorov e Anthony Pagden), biografici (Fernández-Armesto e Paolo Emilio Taviani), storico-ecologici (Alfred W. Crosby), filosofico-giuridici (Aldo A. Cassi), giuridico-politici (ancora Pagden), letterari, iconologici e storiografici (Stephen Greenblatt, Serge Gruzinski, Anthony Grafton, Jorge Canizares-Esguerra), storico-politici comparati e di lungo periodo (John H. Elliott). Ulteriori stimoli sono derivati da nuovi interessi e prospettive di ricerca, come quelle della cosiddetta "storia atlantica" o della "visione dei vinti" (Nathan Wachtel, Gruzinski). Il panorama storiografico è dunque ricchissimo, così come la capacità di reinterrogare fonti tradizionali con domande non convenzionali o di integrare le ricostruzioni consolidate con fonti di diversa natura e provenienza. Di fronte al libro di Abulafia è inevitabile perciò chiedersi se i suoi pregi consistano più nel fatto di apportare qualcosa di autenticamente nuovo oppure nella capacità di ricomporre in una presentazione efficace un quadro già acquisito nelle sue linee essenziali. Il propendere per questa seconda risposta non significa però diminuire l'interesse e i meriti di una ricostruzione ricca, documentata e molto leggibile, di cui un pregio particolare va evidenziato. Benché più di uno studioso Elliott e Grafton tra tutti abbia sottolineato con forza gli elementi di continuità che saldano l'esperienza e la concettualizzazione della scoperta del Nuovo Mondo con diversi aspetti della storia e della cultura europea tardo-medievale (specie religiosa e giuridica), il libro di Abulafia, come non è sorprendente da parte di uno specialista di Medioevo e di transizione tra età medievale e prima età moderna, proprio su questo punto insiste, offrendo a suo sostegno testi, elementi e interpretazioni originali. Pur nell'innegabile radicalità della sfida arrecata dalla "scoperta" di nuove terre e soprattutto nuovi popoli, una profonda continuità di schemi mentali, modi di agire, apparati concettuali, ereditati a loro volta dal mondo antico, lega l'esperienza della scoperta e della conquista sulle due sponde dell'Atlantico, nelle Canarie (1341-1496) e nei Caraibi (1492-1520), e la loro traduzione in termini etno-antropologici, religiosi e politico-giuridici. Attraverso le elaborazioni dell'umanesimo italiano (quella di segno idillico-pastorale di Boccaccio e quella opposta di Petrarca, all'insegna della bestialità e dell'isolamento silvestre) e spagnolo (Juan Ginés de Sepúlveda, Francisco de Vitoria, José de Acosta) le dottrine dell'antichità classica e della tradizione biblica, ma anche la mitologia medievale continuarono a esercitare la propria influenza nella prima modernità. I testi e la tradizione, insomma, pesarono a lungo, almeno fino all'opera di José de Acosta, sulla valorizzazione dell'esperienza e allentarono la propria presa sulla cultura europea solo man mano che l'esperienza della diversità andò approfondendosi ed estendendosi ben oltre le scoperte di Colombo e Vespucci. Il libro, al di là della sua effettiva struttura in capitoli, potrebbe essere letto secondo tre partizioni logiche. La prima riguarda scoperte e dibattiti relativi alle Canarie tra metà XIV e fine XV secolo. La seconda e più ampia tratta delle immagini e discussioni generate dagli scritti di Colombo e di Vespucci e dalle esperienze di conquista non più solo sulle isole, ma sulla terraferma americana nel periodo 1492-1512 circa, caratterizzandosi sia per l'incertezza tra due visioni opposte degli indigeni (esseri umani viventi in semplicità e in armonia con le leggi naturali come i Taino, oppure selvaggi brutali dediti a pratiche disumane come il cannibalismo come i Caribi) sia per le complicazioni introdotte dal contatto con le civiltà mesoamericane. Infine, la terza partizione, molto più breve, fa riferimento alle prime iniziative missionarie serie e alle prime sistemazioni legislative promosse dalla monarchia ispanica (1502-1520), testimonianze di un primo riconoscimento degli indios come portatori di diritti, e conclude con un'apertura problematica proiettata verso il pieno Cinquecento e la successiva storia europea caratterizzata come età di incessanti incontri e scoperte di un'umanità quanto mai varia e sorprendente. Guido Abbattista
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