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Sclip. La prigione del vizio della misteriosa scrittrice Fiammetta Oselladori narra le vicende di Eugenio e Cecilia, rispettivamente un archeologo e una medievista che, in difficoltà economiche decidono, con un po' di resistenza iniziale da parte dell’uomo che poi diventerà suo complice, di far prostituire la donna. I «clienti» di Cecilia sono tutti benestanti e liberi professionisti, tra cui un banchiere, un politicante e il pretore Quagliarulo, il quale però li denuncerà per estorsione. La coppia finisce così in carcere dove i due fanno diverse conoscenze nelle rispettive celle, dove la forzata clausura non impedisce ai prigionieri di sperimentare l’eros. Così la giovane Cecilia incontra la vecchia puttana Marfisa che la introdurrà al piacere tra donne in cui verrà coinvolta la guardia Clelia; il breve romanzo è elaborato in modo mai volgare ed eccessivamente esplicito, ma anzi con una prosa elegante e ricercata in cui l’erotismo è raccontato in modo più allusivo che evidente, tale da stuzzicare la fantasia dei lettori. La narrazione prosegue poi, tra l’altro, con la visita in prigione dell’onorevole Gelsomina Maletti che finirà sedotta da un gruppo di condannati e in uno dei capitoli successivi la direttrice del carcere, che confessandosi col cappellano dello stesso istituto di pena dei suoi peccati sessuali, finirà con l’avere un amplesso con il religioso. Un altro protagonista che compare verso la fine del libro è il travestito Wanda che sedurrà un maresciallo ammogliato. Come si può notare da questa sommaria descrizione della trama, nell’opera l’Autrice vuole scardinare alcune certezze moralistiche e borghesi e affermare che la sessualità è una parte di una certa importanza nella vita di uomini e donne e questo divertissement letterario, pur essendo ideato e ambientato in una condizione al limite e anche contraria alla legalità, ne è una espressione artistica. Il volume è quindi consigliato per la sua vena intrigante, leggera, piccante ma mai scurrile.
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