L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (1)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Cos’è più giusto fare con un losco tipaccio, un’anima nera, un prepotente del secolo decimosettimo che abbia passato buoni 25 anni a tormentare il prossimo con botte, soprusi, rapimenti e ammazzamenti? La fisica espulsione da questo mondo con gentili mezzi da taglio o soffocamento; o 43 anni di lunghissima restrizione in tetra fortezza toscana (Volterra), nove dei quali trascorsi nel fondo senza luce di una umidissima torre? È l’interrogativo sviluppato nel 3° capitolo di questo piccolo ma denso libretto, dove, con uno stile da divertimento analitico e un tocco di ambientazione scenica, l’autore dà alternativamente voce ai sostenitori dell’annientamento e a quelli della carcerazione perpetua. Chi ha ragione? Quando si potrà dire di averla fatta adeguatamente pagare ad un gaglioffone? Se si pensa alla ordinaria fisiologia, perorano gli annientatori, alle ritmiche, fisiche gratificazioni che scandirono quella infinita serie di giornate (15.815), si dovrebbe concludere che il dimenticatissimo italo-prepotente Giuseppe Maria Felicini da Bologna, ebbe fortuna, rimediò il meno peggio, la sfangò. La sua carcassa funzionò; prigioniera, ma funzionò: respirò aria, masticò, sfiatò, tossì, sbadigliò, prese sonno; gustò minestre, stufati e minestroni: “fece il bolo, il chimo, il chilo e lo stronzo”. Diede insomma la fregatura finale alle sue vittime; putrefatte nella fossa. Cosa opinabile a sentire gli antagonisti, i reclusionisti, secondo i quali una vita illanguidita, privata di quel minimo di varietà che ogni umano crede dovuta, è castigo assai peggiore della morte, tormento prolungato, spina più bruttacchiona. L’autore fa uscire dalle tenebre del ‘600 un limpido esempio di farabutto, un vero paradigma incarnato: cambiano le forme ma il tipo resta; e attraversa le epoche. Ecco perché certe sugose parole come “gaglioffo”, servono: se proprio non c’è modo di estirparne il seme, si veda per lo meno di educare a riconoscerlo in tempo. A mezzo vocabolario.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore