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Anno edizione: 2007
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Amando molto le autobiografie, non appena ne trovo una, mi ci tuffo. Qui trovo molti spunti interessanti: una giovinezza nella Germania del terzo reich, volete mettere!? Ma scritto così male che dopo due pagine, ogni volta, sono costretta a fermarmi. Nei giudizi di correzione ai temi che mia madre, professoressa di lettere, scriveva ai suoi alunni , questo stile veniva definito sciatto. Non saprei definirlo oltre, ha una irregolarità e casualità che potrei attribuire anche forse alla traduzione, non attrae, non ferma l’attenzione. Risultato, mi fermo a metà libro.
E’ questo un libro di genere poco diffuso, una tipologia autobiografica parziale, che parte sostanzialmente dello scoppio della seconda guerra mondiale e si conchiude a Parigi nel 1959, l’anno della stesura del “Tamburo di latta”. Al raggiungimento della veneranda età di ottant’anni, lo scrittore tedesco contemporaneo più noto, premio Nobel per la Letteratura nel 1999, narra gli episodi della sua gioventù, per lo più facendo affidamento alla cadenza dei ricordi. E lo fa ricorrendo ad una narrazione scritta in modo piano, con candore, non per dimostrare una tesi o difendere se stesso, ma unicamente per portare in luce le condizioni di una generazione drammaticamente segnata dalla malia propagandistica di un regime delirante e spietato. Un racconto pacato, equanime, in cui sfoglia senza alcuna recriminazione una cipolla che insolitamente non provoca lacrime, ma srotola una stagione della vita che una rinvigorita tensione morale intende ora riordinare. Elevando la pianta a metafora della memoria, l’autore non solo vuole veicolare l’idea di una rappresentazione stratiforme della stessa, ma rendere se possibile ancora più efficace l’immagine di una coscienza, che al di sotto delle tuniche carnose ha conservato nel tempo un nucleo mai sopito di angosciata consapevolezza critica.Peccato tuttavia che il successo di vendite registrato dal libro risulti inevitabilmente viziato da un dubbio velenoso che assale il lettore, il quale non può fare a meno di chiedersi la ragione per cui, dopo essersi a lungo accreditato come coscienza morale della Germania post-bellica, l’autore abbia attesa tanto tempo per far prendere aria agli scheletri del proprio armadio
Un'autobiografia interessante, soprattutto per la confessione e il racconto della guerra e dei campi di prigionia. Improbabile l'amicizia concepita nei campi di lavoro con Colui che ora è l'attuale Papa, fra l'altro preso in giro. Credo che Grass abbia un'autostima abnorme, che lo porta a vantarsi un poco. Ciò che secondo il mio modesto parere delude molto in questo libro, è l'ultimo capitolo, questo sì profondamente soporifero. E poi la beffa! E' una biografia incompleta! Non racconta tutti i suoi anni passati "a tacere". Conclude negli anni Cinquanta, quando inizia ad avere successo, perché semplicemente (lo dice a chiare lettere) non ci ha più voglia di andare avanti a scrivere!!! Patetico!!!
Recensioni
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Il volume recentemento pubblicato da Günter Grass, si inserisce in una tipologia dell'autobiografia che ha soprattutto un significato: con essa l'autore vuole rivedere completamente il proprio passato imponendo un ordine al racconto che si conclude in un punto finale, in un esito mirabile che ne costituisce il risultato inevitabile e necessario. Nell'autobiografia di Grass, in modo più o meno esplicito, si dimostra come tutti i suoi sogni giovanili si siano realizzati. L'autore ridisegna a partire dall'infanzia le linee della propria traiettoria nei vari campi attraversati, dimostrando la validità delle proprie scelte e intuizioni nel campo dei possibili. Si racconta perché, come scrive esplicitamente, vuole "avere l'ultima parola". E dunque l'intento apologetico e autocelebrativo appare evidente fin dalle prime pagine del suo racconto. Quando invece gli sembra necessario avvicinarsi con cautela al proprio passato e prendere parzialmente le distanze da esso, l'autore ricorre spesso all'espediente narrativo della terza persona e del condizionale. Anche l'immagine della cipolla che l'autore sbuccia con circospezione, allude al tentativo di avvicinarsi lentamente alla verità. Questa è come la cipolla, che solo "quando la si sbuccia dice la verità" e sbucciandola induce a lacrimare.
Ma perché Grass (nato a Danzica nel 1927) ha ritenuto opportuno a questo punto della sua vita riportarne alla memoria gli avvenimenti più lontani e nascosti? Non è facile rispondere alla domanda e le polemiche furibonde seguite alla pubblicazione in lingua tedesca della sua autobiografia non sono state di grande aiuto. Si tratta di un testo estremamente ostico (anche per il traduttore Claudio Groff) in cui Grass racconta la propria vita a partire dal 1939, anno in cui l'esercito del Terzo Reich invade la Polonia e dà inizio alla seconda guerra mondiale. Il periodo in oggetto si estende fino al 1959, anno in cui lo scrittore lascia Parigi per tornare a vivere definitivamente a Berlino. È un ventennio remoto della sua esistenza, anche se non mancano nel volume incursioni nell'attualità e riflessioni relative a eventi più recenti, come la caduta del Muro di Berlino (1989) e la conseguente riunificazione tedesca.
L'autobiografia si apre con l'autore dodicenne che già si appassiona alla storia dell'arte europea, segno inequivocabile di una futura vocazione artistica. In seguito, a guerra finita, il futuro premio Nobel per la letteratura (1999) sviluppa il suo talento nel campo della pittura e della scultura. Poi la sua attività si estenderà anche alla poesia e alla letteratura. Di questi due campi (quello della pittura e della scultura, prima a Düsseldorf e poi a Berlino, e quello della poesia e della letteratura) Grass ci fornisce una quadro lucido e intelligente. Mette in evidenza anche la propria capacità pratica, ereditata dalla madre, come lui stesso ricorda, di saper contrattare con gli editori e i mercanti d'arte per collocare al meglio le sue opere sul mercato. Grass dà al lettore l'impressione di essere sempre in grado di valutare le forze che agiscono nei vari campi in cui si muove e di avere la conoscenza delle relative regole del gioco, necessaria per poter giocare con successo. Anche il suo (parziale) abbandono della pittura e della scultura si deve a un'attenta valutazione dei conflitti in campo artistico della metà degli anni cinquanta, che lo convinsero a cercare nuove possibilità in altre aree. Infine, sarà grazie alle possibilità offertegli da Hans Werner Richter (creatore e animatore del gruppo 47) che riuscirà a raggiungere il successo presso il pubblico e la consacrazione critica in campo letterario, senza mai abbandonare la sua vocazione iniziale di artista e di scultore. Interessanti sono anche, per i cultori della filologia di Grass, i numerosi e circostanziati riferimenti a personaggi della sua infanzia e giovinezza che sono stati utilizzati come modelli per i suoi scritti: attraverso questi Grass fornisce nuove chiavi di lettura per le sue opere, che potranno così essere ulteriormente decifrate e reinterpretate.
Dunque lo scrittore di successo ha realizzato il proprio "destino" dando un senso compiuto alla propria vita. C'è però in questa mirabile teleologia un punto oscuro che Grass ha rivelato: ha confessato pubblicamente di essersi arruolato volontario nel 1944 (a diciassette anni) come sommergibilista e di essersi poi ritrovato in un'unità combattente delle SS, nella X divisione corazzata Grundsberg. Ricorda di essere stato poi prigioniero degli americani in un campo di concentramento. Lì fu sottoposto al processo di reeducation previsto per i soldati tedeschi prima del ritorno alla vita civile. Grass racconta la sua lenta conversione ai valori della democrazia statunitense (peraltro lasciati nel vago), maturata durante la prigionia. Ha destato scalpore il suo frequente riferimento a colloqui avuti con un giovane soldato tedesco, anche lui prigioniero, di nome Josef, cattolico militante e teologo, bavarese come l'attuale pontefice Benedetto XVI. Grass fa balenare l'idea che si sia trattato della stessa persona. In seguito ha smentito o ha lasciato nel vago questa possibilità.
L'appartenenza di Grass alle SS, che l'autore aveva omesso o rimosso, ha rimesso in discussione il passato tedesco in tutta la sua ambigua complessità. Negli ultimi anni anche i precettori della Germania democratica come Grass e come Walter Jens pure lui intellettuale consacrato e presidente onorario della prestigiosa Akademie der Künste di Berlino (nel 2003 si è scoperta una tessera di iscrizione al Partito nazionalsocialista della quale Jens non sapeva o si era "dimenticato") sono stati costretti a rievocare peccati (peraltro, forse, veniali) di gioventù. Non voglio qui riassumere dettagli noiosi, vicende imbarazzanti e sinceramente penose, che i diretti interessati avrebbero potuto da tempo pubblicizzare. Certo è che dal 1945 a oggi non sarebbero mancate le occasioni per una severa e chiara resa dei conti personale con il nazionalsocialismo. In varie circostanze proprio coloro che a più riprese si sono (auto)proclamati la coscienza della nazione tedesca avrebbero potuto affrontare una questione così scabrosa come la propria adesione giovanile al nazionalsocialismo in tutte le sue varie articolazioni politiche e ideologiche. Avrebbero potuto affrontare, senza condanne moralistiche e senza cercare capri espiatori, il problema della relazione reale che la gioventù tedesca nata, cresciuta e "allevata" in Germania durante il Terzo Reich, intrattenne con il nazionalsocialismo e la sua ideologia. Avrebbero potuto ricordare, anche in base all'esperienza personale, come per un giovane tedesco vissuto in quegli anni, e dunque sottoposto a lungo e intensamente ai dispositivi pedagogici del Terzo Reich, fosse quanto mai difficile sottrarsi al "destino" comune abilmente manipolato e imposto. E allora perché aspettare tanti decenni per confessare un'adesione in età giovanile, non particolarmente grave? Grass infatti non risulta essersi macchiato di crimini di guerra o simili.
La situazione di estremo imbarazzo in cui Grass si è venuto a trovare dipende proprio dal suo impegno politico. Il premio Nobel, come si ricorderà, è stato attivo negli ultimi decenni a fianco della socialdemocrazia tedesca (in particolare durante l'era di Willy Brandt). Le sue coraggiose prese di posizione contro il pericolo neonazista gli procurarono attentati: la sua casa di Berlin-Friedenau reca ancor oggi i segni, volutamente mai cancellati, di un tentativo d'incendio doloso. Grass, nel suo appoggio alla socialdemocrazia, si è anche pesantemente esposto, a partire dal biennio 1966-67, contro l'opposizione extraparlamentare di sinistra, da lui perentoriamente bollata con l'accusa di "fascismo rosso". Inoltre ha spesso tuonato, dall'alto del pulpito da lui saldamente occupato, contro chi in Germania esercitava cariche istituzionali pur essendo compromesso con il passato regime nazista. Ricordo, per fare un solo esempio, che proprio lo scorso anno, in occasione della pubblicazione della sua autobiografia, sono anche stati resi pubblici (contro la volontà dell'autore, che si appellava alla legge sulla privacy!) brani di lettere da lui inviate a Karl Schiller, esponente socialdemocratico e poi ministro dell'economia, negli anni 1969-70. In esse Grass invitava Schiller a dichiarare apertamente il suo "errore". Una tale confessione avrebbe avuto, secondo Grass, l'effetto di "alleggerire" la coscienza del ministro e nello stesso tempo sarebbe stato un "temporale purificatore" per la sfera pubblica. Altri casi analoghi si potrebbero ricordare. E dunque, per riassumere, mentre Grass distribuiva patenti di fascismo a destra e a sinistra, teneva ben nascosto il proprio passato, con un atteggiamento, a dir poco, ambiguo, falso e ipocrita. Si può allora facilmente comprendere che, a circa quarant'anni da quelle accuse brucianti, la risposta non si sia fatta attendere. Con particolare veemenza hanno risposto quanti allora furono capziosamente accusati di "fascismo rosso". Contro Grass si sono mossi anche gli apparati dell'industria mediatica mettendo in movimento un gioco di riprovazione e di eccitazione, stimolate anche dalle sue ripetute dichiarazioni sul suo passato, sapientemente rilasciate le settimane prima della pubblicazione della sua autobiografia con ampio battage pubblicitario.
Per concludere, si può sostenere che il processo di rielaborazione critica del passato tedesco non è del tutto giunto a buon fine. Se l'esponente della coscienza critica si trova nell'imbarazzante situazione attuale, contrassegnata da omissioni, menzogne, silenzi, opportunismi o, peggio, ammissioni tardive per motivi di marketing, ciò invia segnali sconfortanti. È la dimostrazione, difficilmente contestabile, che alcuni tabù sono ancora efficaci nelle coscienze e nelle relazioni sociali della Repubblica federale di Germania. Forse il problema si risolverà in modo per così dire fisiologico, cioè sul piano anagrafico. Si calcola infatti che gli ex nazisti in vita siano ormai poche decine di migliaia. La popolazione di genere maschile sopra i novant'anni non supera infatti in Germania le 120.000 unità (i dati sono del 2006). Tra pochi anni, grazie anche a una provocata smemoratezza delle giovani generazioni, il nazionalsocialismo, il Terzo Reich, la sua Weltanschauung, il genocidio, il piano di instaurare un dominio mondiale basato sulla razza e sul sangue saranno un opaco ricordo. L'autobiografia di Grass è un contributo positivo ma tardivo a una riflessione critica sulla necessità di ricordare e analizzare il passato senza ipocrisia, senza tatticismi e senza capri espiatori. Pier Carlo Bontempelli
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