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recensione di Vercellone, F., L'Indice 1989, n. 2
Delineare un sapere della superficie volto a mettere in questione il paradigma dell'interiorità che ha largamente dominato la tradizione filosofica, soprattutto per ciò che concerne il concetto di soggettività, è un compito delicato. Lo è per la molteplicità di assonanze che una formula di questa natura immediatamente suscita (basti richiamare i nomi di Nietzsche e Heidegger che hanno impegnato molto intensamente il più recente dibattito filosofico), ma anche perché l'accostamento di epistemologia e superamento della metafisica implicito nell'espressione: "sapere della superficie" è, a prima vista, tutt'altro che scontato.
E, naturalmente, le due questioni non vanno disgiunte; si potrebbe anzi affermare che una delle tesi più vive che percorrono questo studio sia che una prospettiva ultrametafisica, in grado di soddisfare i 'desiderata' della 'lign‚e' Nietzsche-Heidegger, si definisce in termini epistemologici. Essa non può dunque semplicemente sorgere da un rovesciamento speculare dell'opposizione profondità/superficie, giocato a favore del secondo dei due termini; non si tratta in breve di dar luogo a una metafisica di segno mutato. Alla superficie - dunque - "non verrà riconosciuto alcun primato ontologico, bensì un primato euristico capace di generare un programma di ricerca filosofico in cui l'intelletto interpretante è dedito alla selezione e all'elaborazione prospettica delle configurazioni fenomeniche, alla decifrazione e all'analisi delle forme simboliche" (p. 12). La profondità verrà dunque intesa essenzialmente come complessità, come capacità di leggere le molteplici forme nelle quali l'alterità del mondo viene a proporsi al soggetto della modernità tarda. Prende forza, in questo contesto, l'ipotesi di un sapere che faccia propria la metafora. Ciò non comporta tuttavia una sorta di rovesciamento della svalutazione hegeliana della metafora per il quale si metta da parte il lavoro del concetto; si tratta piuttosto di individuare un terreno ove le due istanze confluiscano; ed esso si rivela là dove la metafora viene a profilarsi come una sorta di humus che favorisce il crearsi e l'insediarsi del concetto, ma anche di orizzonte che gli assegna il suo luogo. È entro questo contesto che può venir proficuamente accostata quella 'lign‚e' teorica che ha in Nietzsche e Simmel i suoi rappresentanti più significativi; dall'insegnamento nietzschiano a tornare "buoni vicini delle cose prossime", un insegnamento che decide della morte dello spirito di 'ressentissement' nei confronti del mondo (e dunque del declino dell'interiorità), essa ci conduce a quel sapere analogico, relazionale che sorge dalle suggestioni simmeliane e costituisce il circostanziato esito dell'indagine condotta in questo volume.
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