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Da che lingua è stato tradotto? Perchè è vero che Patočka scriveva anche in tedesco, ma qui l'originale è ceco, e rendere "otřešený" con "scampato" anzichè con "scosso" significa stravolgerne completamente il significato, per cui anche il resto del testo si adatta al traduttore?
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La pubblicazione – in edizione critica corredata da due scritti di Paul Ricoeur e Roman Jakobson – di quest'opera del 1975 di Jan Patočka, che in ceco ebbe una limitata diffusione clandestina e in Italia era stata parzialmente edita già nel 1981 dal Centro studi Europa Orientale, rappresenta un importante segno di attenzione verso un pensatore che ha saputo tenere insieme in maniera esemplare l'esperienza etico-politica e la speculazione filosofica, intreccio messo bene in evidenza anche nell'importante saggio Sókratés del 1947, edito in Italia da Rusconi nel 1991, a cura di Giuseppe Girgenti. Patočka, secondo un'espressione di Ricoeur, fu un "filosofo resistente". Osteggiato dall'establishment filosovietico, era stato allontanato dall'insegnamento universitario nel '49, lo aveva ripreso con la primavera di Praga nel '68 e fu costretto a dimettersi definitivamente nel '72. Fu tra i fondatori del gruppo "Charta 77" e morì a sessantanove anni proprio nel 1977, dopo violenti interrogatori da parte della polizia ceca. In questa cornice biografica si inseriscono i Saggi eretici, che Mauro Carbone definisce "l'ultimo grande libro di filosofia del XX secolo".
La riflessione del filosofo praghese ha come costante punto di riferimento l'opera di Husserl, del quale fu allievo negli anni trenta, e in particolare la Crisi delle scienze europee. Ma, nonostante le messe in guardia di Husserl, Patočka fu anche sensibile al fascino della lezione heideggeriana. Sulla scorta di Heidegger, che nelle prime pagine di Essere e tempo scriveva che "fenomeno" è propriamente "ciò che si manifesta", Patočka indaga il senso profondo dell'apertura che il fenomeno rappresenta per l'individuo e viceversa: "L'apertura – sostiene – denota la possibilità (possibilità fondamentale) dell'uomo per cui l'ente (sia di natura diversa dall'uomo, sia della sua stessa natura – l'ente aperto) gli si manifesta di per sé, cioè senza la mediazione di qualcos'altro". La "possibilità", nell'economia del discorso patočkiano, diventa una categoria fondamentale, poiché permette di aprire il senso della storia: il singolo, infatti, sta nel "prima" e nel "dopo" dell'esistenza umana che, nonostante tutte le fratture, le crisi e le distruzioni, permane nel suo continuum.
In questa sequenza, che potremmo definire "continuità nella discontinuità", Patočka individua tre movimenti della vita umana, che riconducono direttamente al concetto di possibilità: "il movimento dell'accettazione, il movimento della difesa e il movimento della verità". Il primo costituisce l'ingresso dell'individuo nel mondo, poiché, a differenza degli altri enti, il soggetto umano ricerca costantemente una giustificazione, una "connessione" tra sé e il mondo nella trama dell'intersoggettività. Nel "movimento della difesa" l'individuo provvede ai propri bisogni, attraverso cioè il lavoro, disponendo, quindi, il proprio sostentamento. Infine, il movimento della verità caratterizza la disposizione del pensiero a ricercare il senso profondo delle cose. Ciò, tuttavia, non avviene senza "conflitto", ed è proprio il pólemos, secondo Patočka, a costituire l'essenza vitale della filosofia, dai greci ai giorni nostri.
"Edmund Husserl – scrive il filosofo – parla della storia europea come di un nesso teleologico, il cui asse è costituito dall'idea della contemplazione razionale e della vita che si fonda su di essa (cioè la vita responsabile)". Ma Patočka evidenzia anche la critica immanente al pensiero fenomenologico sulla storia: "Se intendiamo la storia come libero agire e decidere, o magari come il loro presupposto fondamentale, allora bisogna dire che la genesi husserliana, anche se trascendentale, e anzi proprio in quanto trascendentale, conosce soltanto le strutture afferrabili dalla riflessione di uno spettatore imparziale, disinteressato, cioè di una soggettività sostanzialmente non storica".
Se la storia ha un senso (domanda che costituisce la trama di uno dei capitoli fondamentali del volume), esso è legato alla motivazione e a quel pólemos che la rendono, appunto, "significante". Per questo, scrive Patočka, si tratta di un "senso" che non può mai essere completamente dominato, che sfugge, che non si lascia prendere nelle maglie categorizzanti del pensiero e che permane nelle sue sconnessioni problematiche. Se, riprendendo Heidegger, la "civiltà tecnica è destinata al declino", allora le tragedie del XX secolo esigono la ricerca di una "pace nella responsabilità", che non è "pacificazione". Come per Primo Levi, per Jean Améry, per Emmanuel Lévinas, anche per Patočka si pone il problema della "solidarietà degli scampati", "nel mondo delle crescite esponenziali" di un secolo che vede insieme allo sviluppo delle possibilità umane l'aumento esponenziale della distruttività.
Gianluca Giachery
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