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"L'uomo nella prosperità non comprende" (Salmo 49, 13). Così, in un certo senso, potrebbe venir sintetizzato il contenuto del lungo quanto illuminante saggio di Pippa Norris e Ronald Inglehart sull'importanza della religione nel mondo moderno. Forse che decenni di studi sociologici ci abbiano permesso di riscoprire, sia pure con prospettiva laica, quello che il salmista già sapeva millenni or sono? Vero è che molte delle tesi proposte negli ultimi tempi, certamente brillanti e originali, si sono via via rivelate dei giganti dai piedi d'argilla: "giganti" perché pretendevano, talora con certa faciloneria, di spiegare gli sviluppi odierni della religione mondiale con brevi formule onnicomprensive; "dai piedi d'argilla" perché poggianti su dati empirici assai limitati (sovente circoscritti al mondo anglosassone), destinati presto o tardi a rivelare l'inconsistenza delle teorie avanzate. E, potremmo aggiungere, tali giganti erano pure miopi, dati i pochi indici di sviluppo di cui tenevano conto nella definizione stessa del fenomeno della secolarizzazione. In fondo, la differenza con questo libro è tutta qui: il fondamento empirico. Impiegando banche dati mondiali che tengono conto del principio della massima differenza tra i paesi presi in esame, e considerando la secolarizzazione come un processo multidimensionale, suscettibile di essere compreso solo tramite l'ausilio di numerose lenti (s'intenda indici statistici), i due autori si trovano nella posizione di poter avanzare ipotesi che certo non hanno molto di spettacolare o di originale, ma che appaiono assolutamente ben fondate.
La religione, con tutte le sfumature e le eccezioni del caso (opportunamente documentate), appare legata all'indice di "sicurezza" in cui la popolazione ha vissuto la propria socializzazione: il termine "sicurezza" fa riferimento a una somma di indici di vario genere che, se combinati tra loro, riassumono il grado di stabilità economica, sociale e politica di un determinato ambiente. Detto in parole povere, più è alto questo indice, minore è l'importanza della religione. Anche la seconda parte della proposizione è oggetto di ulteriori precisazioni, dal momento che il concetto di importanza della religione viene presentato come il risultato della combinazione di un'ampia serie di fattori (tratti da questionari sulla fede nelle dottrine, statistiche di pratica rituale, rilevanza pubblica delle istituzioni religiose) che peraltro vengono declinati tenendo conto delle differenze ambientali (fino a che punto il culto esteriore ha la stessa rilevanza nel manifestare il valore della religione nel cattolicesimo rispetto al confucianesimo?). Tutta questa gran messe di dati, organizzata in grafici e tabelle, produce un risultato inequivocabile.
La domanda, allora, nasce spontanea: siamo forse destinati a veder avanzare inesorabile la secolarizzazione? In realtà, parrebbe di no, dal momento che sicurezza e secolarizzazione producono, tra gli altri effetti rilevabili, un calo della curva demografica: i prosperi si secolarizzano ma figliano di meno, i precari credono e praticano, e crescono di numero.
Una parola va spesa sugli Stati Uniti, spesso presi ad esempio dagli amanti della teoria del mercato religioso. Questi ultimi amano infatti ripetere che il problema non sta nella domanda religiosa, in fondo costante sin dagli albori della storia, ma nell'offerta: più l'offerta è ampia e varia, meno lo stato regolamenta la vita religiosa, e più vitali saranno le comunità di fede. Insomma, è precisamente ciò che si verifica negli Stati Uniti. Norris e Inglehart si scontrano frontalmente con tale prospettiva: non l'offerta, ma la domanda è il nocciolo della questione, e questa varia a seconda delle condizioni degli individui e dei gruppi. Il fatto che in un paese ricco come gli Stati Uniti il processo di secolarizzazione paia poco rilevante porta certo a riflettere, ma la risposta proposta dai nostri autori va in una direzione inedita: ricchezza globale del paese e sicurezza sociale degli individui (tanti sono poi gli immigrati provenienti da contesti di socializzazione insicuri) non sono la stessa cosa; la mancanza di misure sociali, l'allargamento della forbice economica tra ricchi e poveri, l'aumento dei conflitti sociali, tutto ciò fa sì che l'indice di sicurezza americano sia in realtà piuttosto basso, soprattutto rispetto alle altre democrazie occidentali.
In conclusione, è questo un volume pieno di dati, di tabelle, di grafici, di discussioni di metodo e di giustificazioni teoriche; e in tal senso potrà apparire duro da digerire, ma ha anche il pregio di giungere a dei risultati che una volta tanto paiono ben fondati, per dei fenomeni che una volta tanto vengono definiti con precisione. Fabrizio Vecoli
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