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recensione di Argentieri, F., L'Indice 1992, n. 9
Fortunato e bravo, Timothy Garton Ash. Fortunato per essersi trovato, in circostanze abbastanza casuali, e in giovanissima età (è nato nel 1955), a viaggiare in Germania Est, proprio all'inizio del "decennio che ha sconvolto il mondo", come egli stesso lo definisce nell'ultima pagina della sua antologia di scritti, apparsi nella quasi totalità sulla prestigiosa "New York Review of Books" e dunque già familiari a chi si occupa di queste vicende; bravo, anzi direi magistrale nel descriverle in modo esauriente, brillante, privo di fronzoli. Proprio lo stile dell'autore merita di essere approfondito, anche perché le vicende che narra sono ormai arcinote: qualche critico, forse ancora un po' prematuramente, lo ha paragonato nientemeno che a George Orwell, ormai considerato unanimemente uno dei massimi scrittori politici di questo secolo. Prematuramente ma non infondatamente: si riscontra infatti in Garton Ash quella chiarezza, quell'andare immediatamente al cuore delle cose, quell'abilità nel descriverle, quell'assenza di gravami ideologici - il che naturalmente non significa assenza di passione o di partecipazione - che hanno fatto la fortuna del suo illustre compatriota.
Garton Ash nasce intellettualmente come germanista, ma le circostanze-ovvero gli scioperi dell'estate 1980 - lo portano rapidamente a concentrare i propri interessi sulla Polonia, la cui vicenda egli segue dall'inizio alla fine e sulla quale scrive il suo primo libro di successo, "The Polish Revolution*, apparso nel 1983. Alla metà degli anni ottanta egli allarga le sue conoscenze alla Cecoslovacchia e all'Ungheria, entrando in contatto personale e stringendo rapporti d'amicizia con i circoli intellettuali dell'opposizione che, con mirabile simbiosi di elaborazione intellettuale e di azione politica, preparano inconsapevolmente la rivoluzione dell'89.
In questo periodo l'autore parla soprattutto degli scritti di questi personaggi, anche perché parlare delle loro attività può provocare guai: si veda ad esempio il capitolo intitolato "L'Europa centrale esiste?", originariamente concepito come una recensione degli scritti di Adam Michnik, V clav Havel e Gyorgy Konr d. Questo capitolo ha avuto un ruolo assai importante per almeno due motivi: ha portato il tema di cui trattava alla ribalta del dibattito intellettuale occidentale, e ha portato gli intellettuali centroeuropei a riflettere su se stessi, sulla loro elaborazione e sulle possibilità di azione comune. Non a caso, infatti, poche settimane dopo la sua pubblicazione circolava tradotto nei samizdat polacchi, cecoslovacchi e ungheresi.
L'originalità dell'approccio dell'autore stava nel fatto che enti faceva piazza pulita tanto di numerosi luoghi comuni occidentali, primo tra tutti quello di considerare i "paesi dell'Est" come una totalità indistinta e sostanzialmente simile, quanto dei numerosi limiti e difetti riscontrati, a fianco naturalmente delle brillanti intuizioni, negli scritti esaminati, che comprendevano anche il noto saggio di Milan Kundera, apparso in italiano su "Nuovi Argomenti". Tra questi limiti e difetti, Garton Ash giustamente individuava la scarsa elaborazione degli autori in campo economico ("Senza l'apporto delle teorie del KOR, non sarebbe nata Solidarnosc... tuttavia la levatrice di questo parto è stato un materiale aumento del costo della carne", p. 188), la tendenza a indulgere nei miti (es. tutto il male viene dalla Russia) e vari altri, ma questo non gli impedisce di portare, e con ragione, un grande interesse verso queste elaborazioni, invero assai originali e purtroppo conosciute in Italia quasi solo dagli addetti ai lavori.
Dopo questo capitolo, inizia quella che potremmo definire "la cavalcata trionfale": Gar£ton Ash, distribuendosi con ammirevole ubiquità tra Berlino Est e Varsavia, Budapest e Praga, segue passo passo i fermenti che annunciano la grande svolta, riesce sempre a trovarsi al posto giusto nel momento giusto, come tutti i grandi reporter che si rispettino, e riesce perfino a dire le cose giuste, come quando, incontrando Havel a sei giorni dall'inizio della "rivoluzione di velluto", gli fa: "In Polonia ci sono voluti dieci anni, in Ungheria dieci mesi, in Germania orientale dieci settimane: forse in Cecoslovacchia ci vorranno dieci giorni!" (p. 320). Detto e fatto, il 27 novembre il governo si dimette.
Garton Ash unisce alle doti giornalistiche anche una preparazione culturale e una predisposizione all'approfondimento che è purtroppo rarissimo trovare non solo, ahinoi, in Italia, ma in tutto l'Occidente. Questo libro, che nonostante le mole è di gradevole e scorrevole lettura, merita a tutti gli effetti di essere considerato un classico.
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