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Anno edizione: 2016
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
In questo romanzo incompleto, a cui Brecht lavorò per circa un decennio, viene essenzialmente descritta una Cina immaginaria, i cui abitanti hanno valore unicamente simbolico, che tenta di riportare il lettore agli anni turbolenti che egli stesso stata vivendo: l’ascesa del nazismo e il processo che portò ad una seconda guerra mondiale. Ogni luogo e ogni personaggio descritto in questo romanzo non convenzionale – perché privo di una vera e propria trama – fanno riferimento a personaggi e luoghi storici realmente esistiti, che l’autore vuole criticare con ciò che gli riesce meglio: satira e ironia. Insieme ai grandi attori della storia vengono stroncate anche le potenti ideologie che avevano influenzato le masse soprattutto nella prima metà dello scorso secolo. Il tema principale a cui Brecht fa riferimento, e che poi spiega la scelta del titolo, è il cattivo uso dell’intelletto o, ancora, l’intelletto venduto al migliore offerente in tempi di crisi.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il romanzo dei tui ebbe una lunga gestazione: Brecht vi lavorò a più riprese dal 1931 al 1942, lasciando tuttavia il testo incompiuto. (…) L’argomento principale del romanzo-frammento è la critica degli intellettuali, dell’intellettuale borghese come venduto e venditore di fumo teso a ingannare il proletariato represso (…).
In Brecht il Tui è essenzialmente traditore degli sfruttati, tanto che solo eccezionalmente e contro la sua “natura sociale” – in quanto usufruisce in modo parassitario del surplus prodotto dal proletariato – l’intellettuale si può trasformare in sostenitore delle masse. (…)Brecht parte dalla presenza di un “fisiologico” capovolgimento nella percezione della realtà nei Tui. Un capovolgimento che risulta da una insanabile separazione del lavoro intellettuale da quello manuale. È questa scissione a produrre l’inganno “oggettivo” che Brecht definisce “idea di fondo” del suo romanzo. I Tui, scrive l’autore, “hanno maturato la convinzione che lo spirito determini la materia.” Sicché camminano sulla testa, questi signori, dunque vanno capovolti, rimessi in piedi. È così che gli intellettuali sono trasformati in “tellet-ual-in”: Tui. Capovolti, cioè privati della loro presunta autonomia, si presentano però come cifra illeggibile, impenetrabili alla possibilità di una spontanea lettura. La loro esistenza paradossale, che “nella vita” sparisce nell’apparenza di naturalezza, è resa evidente nell’estraniamento brechtiano che trasforma la Germania in un paese che richiama sì la Cina ma non lo è perché si chiama Cima, il non-paese di molte parabole del drammaturgo tedesco. Brecht mette in scena i suoi Cimesi svelandone le illusorie pretese. Visto però che l’illusione ha le fattezze della normalità, la stessa realtà si presenta con le fattezze dell’assurdo, o anche del mostruoso. E mostruoso è infatti il capitolo iniziale su Johann Gottlieb Denke, l’assassino maniaco che all’inizio degli anni venti in Slesia uccise e mangiò ventisei persone. Brecht vorrebbe “assegnargli il posto che gli spetta tra i grandi tedeschi”. Come mai? È semplice: Denke ha riciclato in modo produttivo i cadaveri di ventisei individui, un’operazione che i generali della prima guerra mondiale non sono stati capaci di attuare con i loro milioni di morti. In questo capitolo la critica ai Tui è implicita: gli intellettuali non hanno denunciato l’inutile macello di milioni di esseri umani, un massacro del tutto privo di “riutilizzo produttivo (…). Uno stigma sarcastico che impregna tutto il romanzo, facendosi beffa negli anni hitleriani di un’intera casta di intellettuali tedeschi. (…).
Utilissimo il “glossario” dei nomi “cimesi” introdotti da Brecht. Altrimenti chi mai capirebbe che Gogher Gogh si legge Adolf Hitler?
Recensione di Gerhard Friedrich
«Abbiamo appena salvato la cultura», scrive Brecht a George Grosz dopo aver preso parte al Congrès international des écrivains pour la défense de la culture, che si tenne a Parigi nel giugno del 1935. «Ci abbiamo messo 4 (quattro) giorni, e abbiamo deciso di sacrificare tutto piuttosto che far morire la cultura. In caso di necessità di sacrificare anche 10-20 milioni di persone». È l’ideologia della cultura che chiude gli occhi davanti ai crimini, che è essa stessa criminale perché collusiva con le condizioni economiche e sociali che rendevano possibile il nazismo. Portatore e beneficiario – ma anche vittima – di questa ideologia è il tui, come Brecht chiama ironicamente «l’intellettuale dell’epoca delle merci e dei mercati, il noleggiatore dell’intelletto». Su questa figura progetta di scrivere un Romanzo dei tui, cui lavora tra il 1930 e il 1942 senza concluderlo. Ora L’orma lo propone per la prima volta in italiano, insieme ad altri scritti – racconti, trattati, appunti, schizzi – che ne hanno accompagnato la stesura.
È un libro che contiene molti libri; che usa e mischia satira, parabola filosofica, aneddoto, barzelletta, aforisma, racconto. C’è una provocatoria riabilitazione satirica di un serial killer che macella le sue vittime per mangiarne o venderne la carne; c’è un gustosissimo trattato sull’arte del leccapiedi o uno sull’arte del coito, poi il frammento di un Epos dei tui, ma ci sono anche una serie di Storie dei tui, piccoli gioielli di scrittura popolare ad alta tensione dialettica; poi diverse pagine di appunti, lacerti di quel magma già depurato da cui nasce la scrittura tersa di Brecht. Ma soprattutto c’è il frammento del Romanzo dei tui: un tentativo di scrivere la storia della Repubblica di Weimar in forma di una grande satira sugli intellettuali ambientata in una Cima che serve a trasportare i fatti storici nella terra di uno straniamento parabolico.
Ne ha per tutti, Brecht. Anche per quelli che trattano il socialismo come merce e traggono profitto dalle loro opinioni «sulla pericolosità sociale del fatto che tutto ormai sia una merce». Sulla Scuola di Francoforte è fulminante: «Un vecchio riccone muore, soffrendo per la miseria del mondo nel testamento lascia una grossa somma per la fondazione di un istituto che studi la causa di questa miseria. La causa è ovviamente il vecchio riccone stesso».
Il romanzo dei tui suscita continuamente domande sulla possibilità di pensare la figura e la funzione dell’intellettuale al di fuori della logica della merce e dell’ideologia dell’inelluttabilità del mercato. La risposta che sembra prospettare Brecht, insieme a Benjamin, è l’utopia di un’espansione del «sapere sociale generale» (Marx) che facesse evaporare la distinzione fra lavoro intellettuale o manuale. Svanirebbe allora la figura dell’intellettuale di professione, cioè di un individuo che mette a frutto il proprio intelletto nella competizione economica; svanirebbe per lasciar posto a un’intellettualità diffusa, anonima, non più legata a nomi, titoli, riconoscimenti. Quindi svincolata dalla doppia morsa della mercificazione e del narcisismo che sottrae all’intelletto la sua potenza critica. È un’utopia che la rivoluzione digitale sembra rendere una possibilità concreta: l’unica, forse, sulla quale potremmo e dovremmo puntare.
Recensione di Francesco Fiorentino.
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