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un ottimo tomo questo di fante. tutti i romanzi sono bellissimi, grande la saga di arturo bandini il muratore italiano emigrato. nelle pagine di fante emerge una sottile ironia che rende mitici i suoi personaggi.
Libro letterariamente soddisfacente, ottima rilegatura, stampa con caratteri un po' piccoli
Uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi..lunga vita alla letteratura americana!! io l'ho comprato con grande gioia non curandome affatto del prezzo...e poi la letteratura non ha costo!
Recensioni
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Questo "Meridiano" Mondadori, ottimamente curato da Francesco Durante, ci mette subito di fronte a questioni di collocazione dell'autore in ambito americano e italoamericano. La collocazione americana di John Fante è anzitutto di natura geografica. Fante è scrittore della costa occidentale e di Los Angeles. Nato il 1909 a Denver, nel Colorado, poco più che ventenne e già ramingo nell'anima, prende infatti "la via di Los Angeles", e in quest'area graviterà per il resto della sua vita. Non per nulla intitolò proprio così il suo primo romanzo, The Road to Los Angeles, primo a essere scritto, dei quattro che formano la saga di Arturo Bandini, ma ultimo a essere pubblicato, postumo (nel 1985, dopo Aspetta primavera, Bandini, 1938, Chiedi alla polvere, 1939, e il tardo Sogni di Bunker Hill, 1982). Il curatore Durante qui deroga dall'ordine di pubblicazione e ripristina quello di composizione, collocando questo romanzo al suo posto iniziale. Così facendo sembra metterlo a fuoco, e pensiamo giustamente. Di questo primo prodotto gli esegeti di Fante dovranno valutare a fondo lo spessore, per stabilire che forse merita un primato non solo cronologico, ma anche di stile e generale composizione. Quanto gli altri, se non di più, esso appare infatti armonico nelle sue parti, di estremo interesse per l'aspetto stilistico, nel mettere a frutto il monologare intimo, i bruschi mutamenti del punto di vista, l'asciuttezza eppure fluenza del dettato, l'uso dei colloquialismi; efficace nella caratterizzazione dell'ossessivo Bandini (alterego dell'autore), con le sue smanie, la sua nevrosi di scrittore mancato, la sua truculenza: si direbbe un "cannibale" ante litteram, ma con sottile autoironia. Cose tutte comuni, è vero, nell'officina compositiva di Fante, ma già mature in questo precoce romanzo, composto fin dal 1934-36.
In effetti, pare che qui meno si sentano certi allentamenti del tessuto scrittorio e descrittivo. Prendiamo i due capitoli iniziali di Chiedi alla polvere: vi è in nuce il cuore pulsante di Bandini e del suo autore. La lacerante ambizione di divenire scrittore è una costante; un'altra è l'inconcludenza del personaggio: una prostituta lo porta su in camera, ed lui impaurito di fronte all'impatto della realtà s'inventa d'essere uno scrittore che raccoglie materiale per un libro, ostenta grandigia elargendo ben otto dollari da due di tariffa, e senza consumare scappa via adducendo un appuntamento urgentissimo col suo editore: inventare bugie sempre e con tutti, altra costante del personaggio. Mancano i conflitti familiari, e avremmo tutto il Bandini-Fante. Ma guardate proprio l'attacco del romanzo, sequela di atti riferiti con monotonia e piattezza: una infilzata di then, "E poi", decided to, "decisi di", and I remember, "e mi sono ricordato", e così via per due pagine, finché la scrittura non si anima proprio quando Bandini-Fante trova immagini per dare la stura alle proprie velleità. Allora s'intenerisce con la sua città: "Los Angeles, dammi qualcosa di te"; si ricorda delle sue letture moderne e classiche, addirittura scespiriane: A day, and another day and the day before, "Un giorno, e un altro giorno, e il giorno prima", che suona come il Tomorrow and tomorrow and tomorrow di Macbeth; fino a piombare nel contemporaneo, e apostrofare disinvoltamente come big boys, "colossi di ragazzi", i vari Dreiser e il suo scopritore Mencken, perché facciano un po' di posto anche a lui sullo scaffale della biblioteca; per poi tornare carico di inventiva alla storia e al postribolo dove ha seguito la prostituta.
O più concisamente, guardiamo l'inizio di uno dei racconti di Dago Red, L'odissea di un wop (termine, come dago, con cui si ingiuriavano gli italoamericani). Comincia con un attacco quasi banale: "Sto mettendo insieme pezzi di storie sul conto di mio nonno"; ma poi con quanta naturalezza scivola subito nel racconto: "È la nonna a parlarmene. Quand'era vivo, mi dice, era un brav'uomo, la cui bontà suscitava più pietà che ammirazione". E così prosegue, dimenticando presto il nonno per passare al padre, poi a se stesso, alla sua situazione in famiglia, alla scuola, ai suoi sensi di ostilità nei confronti dei compatrioti italoamericani. Tutto costruito per lo più con frasi brevi, quasi veloci appunti di diario, secondo una tendenza più naturale nella lingua inglese rispetto alla prolissità sintattica dell'italiano. Questa caratteristica è uno dei punti di forza dello stile di Fante. A brano a brano costruisce uno stato emotivo, un'atmosfera. Forse è quello che Vittorini voleva intendere parlando di "concezione atomica del mondo" proiettata nella sintassi, come ricorda il curatore nel suo saggio introduttivo. Questo modo salta agli occhi mirabilmente nelle belle traduzioni qui offerte (tutte dello stesso Durante e di Alessandra Osti, tranne Primavera, di Carlo Corsi, e Polvere, di M. Giulia Castagnone). E sarà pure un modo hemingwayano; ma filiazioni e affiliazioni per Fante dovranno certo essere meglio soppesate. L'apparente elementarità di dettato, che si traduce in notevole capacità di far emergere caratterizzazioni e atmosfere dalla giustapposizione di dettagli, è la qualità apprezzata subito e sempre, in seguito, dalla critica americana, come ancora ricorda il curatore.
D'altra parte, il caso Fante fa pensare a tipici comportamenti della critica americana al seguito dell'industria culturale: passato il momento, l'oblio. La minuziosa bibliografia apprestata da Durante riflette la fortuna dell'autore, apprezzato alla pubblicazione dei suoi primi due volumi, appunto Primavera e Polvere. Il suo terzo libro più noto, Dago Red, appare subito dopo, nel 1940. Poi l'ufficialità si dimentica di Fante. Bastano dei sondaggi: la vasta Cambridge History of American Literature diretta da Sacvan Bercovitch, nel volume settimo, dedicato alla prosa 1940-1990, lo ignora (e se è per questo ignora gli italoamericani, mentre ha intere sezioni dedicate ai vari gruppi etnici; ma è un altro discorso). Miglior sorte non troviamo in altri repertori onnicomprensivi. In effetti, dopo il '40 Fante si dedica ampiamente a scrivere sceneggiature per il cinema: è il suo miraggio hollywoodiano, di cui pure si rammaricherà per tutta la vita perché lo distrae dalla narrativa. La riscoperta di Fante viene negli anni ottanta, capeggiata dall'amico Bukowski. Allora vediamo nuovamente infoltirsi i contributi bibliografici. Fante è consolidato tanto da essere accolto, se non nei repertori dei suoi compatrioti, per esempio nell'autorevole Oxford Companion to Twentieth Century Literature (1996), che gli dedica un buon colonnino, definendo lui American writer, i suoi due libri più noti "romanzi picareschi", i racconti di Dago Red "sregolati ma non privi di una certa vena sentimentale che prevale nella sua opera". Allo stesso tempo (e dunque molto dopo l'epoca vittoriniana e gli apprezzamenti del "solito Cecchi", non amato dal curatore) viene la rivalutazione sul versante italiano degli anni ottanta-novanta.
Va detto che questo riemergere dell'interesse per Fante non può essere disgiunto dall'incremento degli studi di letteratura italoamericana, tanto in America (ma non è da credere che, per conto suo, Bukowski lavorasse in termini di rivalutazione etnica dell'amico), quanto in campo italiano. Allora Fante è destinato a essere visto in lente italoamericana? Sì e no. Intanto bisogna ricordare che gli scrittori americani di origine italiana rifiutano l'etichetta etnica. Si vedono come "americani" e a tale collocazione aspirano. Fante odiava sentirsi italoamericano (il narratore del citato racconto di Dago Red dice del padre: "Gli dico di smetterla di fare il wop e di diventare americano una buona volta"), anche se tutta la sua opera è pregna di retroterra italiano. È scrittore americano, e c'è stato il momento in cui come tale venne presentato dalla critica d'oltreoceano. Se la sua stella si è dopo affievolita, può esserci una ragione etnica anti-italiana, ma saremmo più propensi a vederne i motivi nei meccanismi dell'industria culturale. In tale situazione, gli studi italoamericani (e qui dobbiamo riconoscere il posto che in essi merita il versante italiano) non vanno guardati come una limitazione ghettizzante, ma come una cornice di lavoro, una metodologia per indagare il campo sterminato della produzione americana, che serve a portare in luce e mettere a fuoco situazioni, autori, correnti. In questa lente possiamo concludere tornando al curatore Durante: non è un caso che questo "Meridiano" sia venuto nel bel mezzo di una sua ricerca a vasto raggio, una voluminosa antologia di "storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti" da lui curata e intitolata senza complessi Italoamericana (Mondadori, 2001), di cui si aspetta il secondo tomo.
C. Siani
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